C’è un gol che Ighli Vannucchi proprio non riesce a dimenticare: quello a tempo scaduto con il Vicenza nel maggio del 1998 che fu colpo di defibrillatore per le speranze della prima storica salvezza in serie A della Salernitana. «Ma non sono l’unico che non si toglie dalla testa quella giocata: su Facebook un tifoso mi ha scritto che dopo quel gol ha scelto di chiamare il suo cane Yghli. Ha sbagliato l’iniziale ma lo perdono». Il sorriso, suo tratto distintivo, Vannucchi lo perde qualche secondo quando ricorda quel finale di stagione: «Lì sono diventato una sola cosa con la piazza. Era un’estasi generale. Speravamo potesse esserci un lieto fine, invece l’epilogo di Piacenza con la tragedia dei quattro ragazzi fu un colpo durissimo».
A quarantasette anni ha deciso di dire basta con il calcio giocato, con l’addio al Pieve San Paolo, squadra con la quale ha anche vinto un campionato di Terza Categoria con il figlio Niccolò. Poi la decisione di appendere le scarpette al chiodo…
C’è un momento in cui si diventa grandi: quel momento fatidico è arrivato (sorride, ndr). Però il successo dell’anno scorso è stato davvero emozionante, ci tenevamo a chiudere in bellezza in un girone fatto di squadre arcigne al netto della categoria. È stato come mettere una ciliegina su una bella torta.
Il presente della Salernitana è affidato a mister Giovanni Martusciello…
E mi sento di dire che la squadra è in mani sicure. L’ho avuto all’Empoli nello staff tecnico di mister Campilongo. Parliamo di una persona preparatissima che ha dimostrato di avere idee chiare. Gli auguro non solo di poter fare bene ma di scrivere una pagina di storia con questa società.
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