Quando Gino Kalby scopri la bellezza di S. Felice in Felline
Il documento del 1962 è una dichiarazione d’amore per la chiesa di Torrione e i suoi inediti affreschi
di ALESSIO DE DOMINICIS
La recente rilettura di un breve saggio, estratto dalla Rassegna Storica Salernitana (Anno XXIII, 1962, n.1-4 pag. 227-237): “Un documento salernitano dell’11esimo secolo: la chiesa di San Felice in Felline”, ci offre l’occasione di ricordarne l’autore, Gino Kalby (1921-1999), e prima di parlare del suo scritto è opportuno tracciarne un sintetico profilo biografico. Nasce a Macomer, nel nuorese, da genitori sardi che si trasferiscono a Salerno nel 1926. Nel 1945 è incarcerato per la sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana ed in seguito riabilitato, poi laurea in Lettere a Cagliari e in Architettura a Napoli con Roberto Pane, relatore della sua tesi, in seguito corso di perfezionamento in storia dell’arte all’Università di Roma con Argan. Dopo un’esperienza in quell’ateneo come assistente di Ferdinando Bologna ritorna a Salerno e qui, come titolare della cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna nella facoltà di Lettere, insegna fino al pensionamento. Ritornato in Sardegna, alla città natale dedica i suoi ultimi anni di ricerca e pubblica uno degli ultimi lavori: “Macopsisa/Macomer- cinquemila anni di storia”, Salerno, 1990. Durante la lunga attività svolta a Salerno per circa un quarantennio Gino Kalby fu redattore delle riviste dirette da Gabriele De Rosa “Rassegna di studi salernitani” e “Quaderni contemporanei” di cui curò, con Filiberto Menna, l’ormai raro primo numero (1968), interamente dedicato al centro storico salernitano. Segretario del “Centro studi per i nuclei antichi e documenti artistici della Campania meridionale” ne fa pubblicare, nei primi anni ’70, la rivista “Bollettino di storia dell’arte”, nel cui primo numero (1973), tra i tanti contributi importanti per la storia dell’arte campana , ci piace ricordare quello di Paolo Peduto,(in quegli anni assistente alla cattedra di Kalby) sulla Rotonda neoclassica di Fratte. Muore Kalby a Macomer, dov’era nato, nel dicembre 1999. Questi pochi cenni, naturalmente, non possono bastare a ricostruire la densità di un’esistenza dedicata alla ricerca e allo studio, ma bastano certamente a referenziare l’autore e il saggio di storia dell’arte sopra citato (seppur datato ed emendabile), avente ad oggetto un episodio di architettura altomedievale minore e lontana dal centro antico, ma non per ciò meno degna di tutela assoluta: la piccola chiesa di San Felice, in quello che oggi si chiama Parco degli Aranci di Sala Abbagnano. L'incipit del saggio di Kalby è bellissimo, sembra quasi di leggere una pagina delle vecchie guide del Touring: “A sud est dell'antico nucleo della città di Salerno, su un dosso dei colli che con dolce degradare di pianori e valloni da Giovi discendono al mare, è posta, solitaria tra il verde, la chiesa di San Felice in Felline. Sembra quasi incredibile che siano ancora possibili simili doni: nascosta tra le macchie di acacie, “misurata” da un vicino gruppo di querce, improvviso vi si rivela questo punto fermo posto tra le colline ed il mare. Ci si arriva salendo dal quartiere Torrione, per via Mattia Farina,per una strada che costeggia il nuovo complesso di villini nella località Sala. Da via Mattia Farina si diparte sulla destra una strada in via di sistemazione che giunge sino a pochi metri dalla chiesa..”. Il fatto è che in quella zona a oriente della città, pochissimo urbanizzata, che ancora fino ai primi anni '60 si estendeva da Torrione al “paradiso di Pastena” e oltre fino all'Angellara, il professore Kalby vi dimorava, e non deve essergli sembrato vero trovare affreschi inediti del Cinquecento a pochi passi da casa, riportati alla luce dai restauri compiuti nel 1961 per iniziativa dell'arcivescovo Demetrio Moscato. Un segno del destino. A lui che sulla pittura del primo rinascimento in Campania e sulle forme del romanico meridionale fondava buona parte delle sue ricerche, la piccola chiesuola di San Felice apparve quasi come un epifanìa. Per tutta la documentazione d’archivio, la cronologia e i caratteri formali del monumento, Kalby si servì del volume fresco di stampa “Salerno Sacra” di Generoso Crisci e Angelo Campagna (Salerno, 1962) e delle evidenze messe in luce dal restauro affidato dalla Curia all’ingegnere Vittorio Gigliotti, con la supervisione della Soprintendenza. La parrocchia autonoma di S. Felice era stata nel 1811 soppressa e unita a quella di S. Croce al Torrione. Dopo un secolo e mezzo di abbandono, passata nel frattempo con i terreni circostanti (l'attuale Sala Abbagnano) tra i beni privati dell'italo-americano di Boston Diograzio Consulmagno, viene da questi donata alla Curia insieme a un terreno adiacente di 3.049 mq, mentre intorno si andavano edificando, sul finire degli anni '50, da Antonio D'Amico il nuovo quartiere di Sala Abbagnano e dall'I.N.A. il primo nucleo di edilizia popolare di Torrione alto. Le intenzioni di Moscato erano di costruire sul terreno donato, ampliando i volumi della chiesetta abbandonata, la nuova sede parrocchiale di “S. Felice dei Consulmagno”, come doveva chiamarsi. Per fortuna nostra e del monumento, a seguito di una permuta di suoli con il Consulmagno e il costruttore D’Amico, la Curia rinuncia all’ampliamento e realizza (anche grazie a un finanziamento dello Stato), a monte del quartiere di Torrione alto, il volume scatolare e anodino della nuova cappella di S. Felice, obbligando però il D’Amico a farsi carico del restauro della vecchia chiesa. A lavori completati, inaugurata la rinata parrocchia di S. Felice in Felline l'11 dicembre 1960, emergono i caratteri originali del manufatto romanico (databile sicuramente prima del 1057 ) e, tra lacerti superstiti di decorazione, soprattutto gli affreschi del XVI secolo della navata maggiore, così come Kalby li vide. Sull’onda forse dell'entusiasmo volle attribuire quelle pitture ai lati dell'abside maggiore ad Andrea Sabatini dandone notizia nella RSS (pag.236): “..Tali affreschi raffigurano l'Eterno Padre, la Madonna della Misericordia e San Felice. Ancora una volta essi documentano le conseguenze meridionali dell'arte di Raffaello attraverso la mediazione del massimo esponente della scuola napoletana del secolo XVI, quale fu Andrea Sabatini da Salerno. Ed infatti un riferimento immediato e persuasivo si può stabilire tra la Madonna della Misericordia in San Felice e la Madonna delle Anime Purganti del Polittico di Buccino, ora conservata nel Museo Provinciale di Salerno”. Gli affreschi saranno poi attribuiti da altri (Pavone, 1982 ) al pittore giffonese Agostino Tesauro, ma, attribuzioni a parte, è stato nostro intento ricordare Gino Kalby, con il quale avemmo qualche colloquio negli anni '80 su temi di urbanistica, e rievocare quella felice plaga salernitana ad oriente dell'Irno.
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