LA TESI DI MARTINA MASULLO 

Nuove e antiche falsità e il paradosso social che è figlio dell’omofilia

Le bufale ai tempi di fb. Ovvero, dei danni dell’omofilia (e di una struttura culturale sempre più approssimata)

SALERNO. Le bufale ai tempi di fb. Ovvero, dei danni dell’omofilia (e di una struttura culturale sempre più approssimata). Potrebbe sintetizzarsi così “Nel mondo delle fake news - Analisi e conseguenze delle bufale su facebook”, questo il titolo del libro di Martina Masullo, 23enne salernitana, contributor presso Ninja Marketing. Il 24 novembre del 2016 Martina si è laureata con una tesi in Teorie e tecniche della comunicazione di massa dedicata proprio alle fake news. Poi, quel lavoro teorico-sperimentale realizzato sotto la guida delle docenti Diana Salzano e Antonella Napoli, è diventato un volume grazie alla piattaforma di autopubblicazione firmata Feltrinelli, ilmiolibro.it.
Com’è nata l’idea di dedicare uno studio alle bufale ai tempi dei social?
In realtà, da un’esperienza personale, nel senso che come molti ragazzi della mia generazione trascorro diverso tempo sui social. Ad un certo punto mi sono accorta che c’è stato un proliferare di pagine nate per veicolare fake news, in particolare legate ad alcune tematiche.

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Quali ad esempio?
Per lo più, tematiche “calde”, quelle cioè capaci di parlare alle pance della gente. Quindi l’immigrazione, i vaccini, la donazione degli organi, la mala politica.
Come si è articolata la sua ricerca?
I primi due capitoli sono teorici. Analizzo la storia delle bufale, dal Medioevo fino ai giorni nostri, interpretandole attraverso i concetti di omofilia, fiducia e reputazione. Il terzo capitolo è invece quello più sperimentale, dove si è giocata la mia ricerca. Ho iniziato a seguire alcune pagine, come Tutti i crimini degli immigrati, Cose che nessuno ti dirà, La Gazzetta della Sera, Mafia Capitale e Vox News, selezionando degli articoli ed analizzando i commenti degli utenti. Poi sono passata a classificare le tendenze. Ho contattato anche Craig Silverman, media editor di BuzzFeed News e fondatore di Emergent.info, un sito di verifica in tempo reale di notizie e voci, approfondendo gli strumenti che stanno mettendo in campo Google e facebook per stanare le fake news e chi le diffonde.
In che tipo di articoli si è imbattuta?
Di tutto. Sono rimasta colpita da un servizio nel quale si diceva che due immigrati avevano violentato una ragazza. Un pezzo che è diventato subito virale, collezionando like e condivisioni. La cosa assurda è che nessuna delle persone che ha voluto commentare, inneggiando all’odio razzista, si è presa la briga di verificare se la notizia fosse vera. In quel caso era un falso assoluto, destituito da ogni fondamento. Il punto è proprio questo: a moltissimi utenti non interessa se quella cosa sia vera o fasulla. L’importante è che confermi il proprio pensiero, o meglio, un elenco di luoghi comuni: ci sono troppi immigrati che ci tolgono il lavoro, i vaccini uccidono, attenzione alle donazioni perché vi rubano gli organi mentre siete in coma, i politici sono tutti corrotti...

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Lei ha parlato di omofilia, dunque di tendenza ad associarsi tra chi ha caratteristiche in comune. Non le sembra un paradosso che questo sia amplificato proprio dai social, che in potenza dovrebbero poter favorire connessioni a larghissimo raggio?
In teoria è così. Ma l’approccio degli utenti è diverso e molto gioca il livello culturale di base. Se sono poco formato e altrettanto poco istruito, tenderò, sui social, a circondarmi di persone come me, a fare rete con chi condivide il mio pensiero, rifuggendo dunque ogni confronto con chi ha idee diverse, oppure aggredendolo, come nel caso degli haters. Il paradosso social è proprio questo: anziché ampliare le relazioni, finisce con il restringerle.(b.c.)
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