PASSEGGIATE NELLA STORIA

Matarazzo, successo nato dal grasso dei suini

In Brasile l’imprenditore di Castellabate iniziò con lo strutto e poi costruì un impero valutato tra i primi cinque al mondo

Nel susseguirsi di colline, di poggi e di pendii, fitti di secolari ulivi e di profumate ginestre, tra l’isolotto di Licosa e Punta Tresino, sorge, aggrumato sulla cima di un impervio colle, l’antico borgo di Castellabate. L’impianto medievale, le case raccolte, i portali vigilati da stemmi araldici che testimoniano nobiliari radici, i vicoli e le ripide scalinate che salgono verso la basilica angioina dell’Assunta e al leggendario Castello dell’Abate (da cui il nome del paese), sono i percorsi obbligati e canonici che conducono alla sommità dell’abitato, un osservatorio unico dal quale si può ammirare il frammentarsi del mare lungo il litorale e il dispiegarsi dei bastioni rocciosi tagliati a picco della costa di Salerno che si intravede in lontananza.

In questo incantevole angolo del Cilento nacque, il 9 marzo 1854, Francesco Matarazzo, primogenito di nove figli, da Costabile, proprietario terriero e avvocato, e da Mariangela Jovane, di blasonata famiglia di Cava de’ Tirreni. Compiute le scuole elementari, si trasferì a Salerno, presso uno zio materno, per seguire gli studi classici nel Liceo della città ma la morte improvvisa del padre, nel 1873, lo costrinse a rinunciare agli studi e a far ritorno a Castellabate per curare gli affari di famiglia. Poco più che ventenne sposò Filomena Sansivieri e, appena venticinquenne, era già padre di due dei suoi tredici figli.

Le contingenze lo indussero a partire per le Americhe per cercare fortuna nel commercio, in linea con il trend migratorio nazionale. Nell’ottobre 1881 Matarazzo si imbarcò per il Brasile diretto a Sorocaba, nello Stato di San Paolo, dove già risiedeva una colonia di italiani impegnata nelle grandi fazendas di caffè e nei cantieri di costruzione della ferrovia. Accolto e ospitato da amici conterranei, nel maggio 1882 aprì un negozio di generi alimentari di prima necessità (farina, granturco, sale, fagioli, carne) e in particolare strutto di maiale, richiestissimo per la conservazione di molti alimenti. Considerato che i mercati locali lo importavano esclusivamente dagli Stati Uniti, Matarazzo pensò bene di produrre lo strutto in un locale attiguo al suo negozio e dare a tutti la possibilità di fornirsi in loco del prodotto.

Fattosi raggiungere dalla moglie e dai due figli, aprì una piccola fabbrica a Capão Bonito, poco distante, iniziando ad accumulare una cospicua fortuna economica anche attraverso il commercio dei suini e la confezione di scatole di latta per conservare lo strutto. Nel 1889, con la proclamazione della Repubblica, in Brasile iniziò un periodo di intenso sviluppo economico e Matarazzo decise di trasferirsi a San Paolo. Il successo e la crescita economica della sua attività lo indussero a passare dall’impresa individuale a quella societaria creando, con tre dei cinque fratelli che lo avevano raggiunto in Brasile, la “Matarazzo & Irmãos”, sostituita, nel 1891, dalla “Compagnia Matarazzo SpA”, con 43 azionisti, che portò, nel 1911, all’organizzazione delle “Indústrias Reunidas Fábricas Matarazzo”. La svolta decisiva si ebbe nel 1900, quando il fatturato annuo societario era ormai a livelli da capogiro: in tredici anni, dal 1887 al 1900, era passato da 20 contos a più di 2.000 contos de réis (un conto equivaleva a un milione di lire).

Matarazzo, ormai esponente di rilievo della nuova borghesia capitalista di San Paolo, estese i suoi interessi anche al settore finanziario partecipando, nel maggio 1900, con altri capitalisti italiani, alla fondazione della “Banca Commerciale Italiana di San Paolo” e, nel 1905, a quella della “Banca Italiana del Brasile”, nella quale la sua famiglia deteneva il 73% del capitale e della quale fu presidente. Nel maggio 1910, dopo lunghe trattative con capitalisti francesi, la Banca venne liquidata e le sue attività incorporate in un nuovo organismo: la “Banque française et italienne pour l’Amerique du Sud” che divenne, di lì a poco, la seconda banca brasiliana per raccolta di depositi. In occasione della Prima Guerra mondiale Francesco Matarazzo lasciò il Brasile per tornare in Italia, dove si impegnò nel coordinamento per l’approvvigionamento delle truppe e della popolazione civile. Per il servizio prestato in patria, nel 1917 fu insignito dal Re del titolo di Conte. In quello stesso anno, rientrato a San Paolo, costruì, nello Stato del Paraná, il “Mulino di Antonina” che arrivò a una produzione annua di un milione di sacchi di farina e di 10mila tonnellate di sottoprodotti.

Fino alla metà degli anni Venti l’impegno di Matarazzo in campo industriale si concretizzò nella realizzazione di una fabbrica di liquori nel 1922, nella intensificazione, nel 1924, degli interessi nel campo dell’industria chimica e nella “Sociedade industrial Matarazzo de Mato Grosso” per la ricerca delle materie prime necessarie alle sue imprese. Seguirono la fabbrica di raion “Viscoseda-Viscofil”, la fabbrica di solfuro di carbonio e quella di oli industriali. Francesco Matarazzo morì a San Paolo il 10 febbraio 1937, lasciando ai suoi eredi e successori il più grande e importante gruppo industriale del Sudamerica. Alla sua morte l’impero delle IRFM era costituito da 365 fabbriche, che si estendevano per un totale di 2 milioni di metri quadri e davano lavoro a 600 tecnici, 2.000 impiegati e 25.000 operai. L’Enciclopedia Britannica, all’inizio degli anni Cinquanta, qualificò l’impero Matarazzo come uno dei cinque principali gruppi aziendali del mondo.