Le parole di Ebner e l’antica civiltà eleatica
Lo storico cilentano, i primi ritrovamenti nel 1927. Le campagne di studio condotte da Mario Napoli
Il testo è tratto da Chiesa, Baroni e Popolo nel Cilento, volume II, Roma, 1982, Edizioni di Storia e Letteratura
di PIETRO EBNER*
Toponimo indigeno-italico, Velia fu detta Elea da Platone che non poteva che scriverne così nel dialetto attico del suo Sosfista. I magistrati della città, però, con notevole scrupolo ortografico, vollero poi tramandare il nome indigeno dell’abitato (Vele-Velia) facendo incidere su alcune dramme la leggenda Vele con l’iniziale digamma e con l’eta finale che implica senz’altro la desinenza -ia e perciò Velia. (...) Velia doveva apparire veramente bella ai tempi del suo massimo splendore; forse più che bella, rivente e suggestiva all’ignaro navigante che, doppiata la paurosa rupe di Palinuro, aveva superata la stretta punta di Ascea. Principalmente per la scenografica disposizione ionica dell’abitato sulle degradanti terrazze del roccioso colle che si slanciava deciso a fendere il mare. Case, torri, templi via via si stagliavano netti contro l’azzurro del cielo, brillavano nella stupenda sinfonia di verde della cornice montana oppure occhieggiavano fra l’argento degli ulivi e l’oro dei grevi massi di arenaria. (...) Nel maggio 1927, auspice la Società Magna Grecia, ebbe luogo la prima, e purtroppo breve, campagna di scavi di Amedeo Maiuri. Oltre che a settentrione, dove Mingazzini rinvenne tracce di abitazioni, mettendo a luce anche lunghi tratti di mura e una strada a lastroni irregolari che ritenne della prima metà del IV secolo; si affondò il piccone nella spessa coltre detritica del crinale della collina di bionda arenaria. (...) Nel 1935 l’Ente Antichità e Monumenti di Salerno rinvenne a Velia tracce di un villaggio neolitico, mise a luce un intero quartiere ellenistico sulle pendici meridionali, scoprì avanzi di ville romane. (...) Più fruttuosi, anche perché più vasti, gli scavi degli anni cinquanta condotti con cantieri-scuola o finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno (...) Durante quegli anni gli scavi isolarono altri tratti di mura, anche nella parte settentrionale, dove apparvero i perimetri di due torri limitanti forse una porta, e di una terza torre, sulla destra di chi entra nella città. (...) Gli scavi ripresi nel 1961 con maggior lena (Mario Napoli) misero in luce elementi costitutivi che giustificavano il culto infero per Asclepio. Dopo aver scoperto poi il teatro, gli scavi continuarono sull’acropoli alla ricerche di più antiche tracce di vita. Seguì poi il rinvenimento di un’erma acefala dedicata a Parmenide. per la prima volta dalle rovine di Velia affiorava il ricordo del mègas di Platone, del grande Eleate (...) La ricchezza dei saggi orientativi persuadeva il compianto amico Mario Napoli della necessità di un’indagine metodica, intesa principalmente a stabilire il percorso della strada cardine della città. Si tornò sul pianoro del versante settentrionale della collina, a cercare, con altri tratti di mura, la via che avrebbe dovuto attraversare la supposta porta nord della città.
*Medico e storico del Cilento (1904-1988)
di PIETRO EBNER*
Toponimo indigeno-italico, Velia fu detta Elea da Platone che non poteva che scriverne così nel dialetto attico del suo Sosfista. I magistrati della città, però, con notevole scrupolo ortografico, vollero poi tramandare il nome indigeno dell’abitato (Vele-Velia) facendo incidere su alcune dramme la leggenda Vele con l’iniziale digamma e con l’eta finale che implica senz’altro la desinenza -ia e perciò Velia. (...) Velia doveva apparire veramente bella ai tempi del suo massimo splendore; forse più che bella, rivente e suggestiva all’ignaro navigante che, doppiata la paurosa rupe di Palinuro, aveva superata la stretta punta di Ascea. Principalmente per la scenografica disposizione ionica dell’abitato sulle degradanti terrazze del roccioso colle che si slanciava deciso a fendere il mare. Case, torri, templi via via si stagliavano netti contro l’azzurro del cielo, brillavano nella stupenda sinfonia di verde della cornice montana oppure occhieggiavano fra l’argento degli ulivi e l’oro dei grevi massi di arenaria. (...) Nel maggio 1927, auspice la Società Magna Grecia, ebbe luogo la prima, e purtroppo breve, campagna di scavi di Amedeo Maiuri. Oltre che a settentrione, dove Mingazzini rinvenne tracce di abitazioni, mettendo a luce anche lunghi tratti di mura e una strada a lastroni irregolari che ritenne della prima metà del IV secolo; si affondò il piccone nella spessa coltre detritica del crinale della collina di bionda arenaria. (...) Nel 1935 l’Ente Antichità e Monumenti di Salerno rinvenne a Velia tracce di un villaggio neolitico, mise a luce un intero quartiere ellenistico sulle pendici meridionali, scoprì avanzi di ville romane. (...) Più fruttuosi, anche perché più vasti, gli scavi degli anni cinquanta condotti con cantieri-scuola o finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno (...) Durante quegli anni gli scavi isolarono altri tratti di mura, anche nella parte settentrionale, dove apparvero i perimetri di due torri limitanti forse una porta, e di una terza torre, sulla destra di chi entra nella città. (...) Gli scavi ripresi nel 1961 con maggior lena (Mario Napoli) misero in luce elementi costitutivi che giustificavano il culto infero per Asclepio. Dopo aver scoperto poi il teatro, gli scavi continuarono sull’acropoli alla ricerche di più antiche tracce di vita. Seguì poi il rinvenimento di un’erma acefala dedicata a Parmenide. per la prima volta dalle rovine di Velia affiorava il ricordo del mègas di Platone, del grande Eleate (...) La ricchezza dei saggi orientativi persuadeva il compianto amico Mario Napoli della necessità di un’indagine metodica, intesa principalmente a stabilire il percorso della strada cardine della città. Si tornò sul pianoro del versante settentrionale della collina, a cercare, con altri tratti di mura, la via che avrebbe dovuto attraversare la supposta porta nord della città.
*Medico e storico del Cilento (1904-1988)