L'INCHIESTA
La morte di Pasolini: il delitto “imperfetto”
Il libro dell’avvocato Maccioni: «Ecco le verità nascoste»
Da ieri sono trascorsi 47 anni dal delitto di Pier Paolo Pasolini: una delle pagine più buie e controverse della storia repubblicana. Un omicidio mai del tutto chiarito ed intriso di depistaggi, infiltrazioni e costituito da aberranti mancanze di approfondimenti investigativi, che avrebbero dovuto sin dal rinvenimento del cadavere all’Idroscalo di Ostia, fare luce sull’assassinio brutale ed efferato di una delle menti più acute e di uno degli intellettuali più lucidi del Novecento.
Da alcuni anni, chi ha tentato non soltanto di ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e dare un volto ed un nome ai mandanti ed esecutori materiali ma anche di tentare di mettere insieme, parafrasando le parole dello scrittore, “pezzi frammentari” di un tragico evento di cronaca, è Stefano Maccioni, l’avvocato costituito parte civile nei processi per la morte di Stefano Cucchi, per la strage di Viareggio, in “Mafia capitale”.
Maccioni ha affidato ad un volume, “Pasolini, un caso mai chiuso” (Round Robin Editrice), libro che sarà presentato il prossimo 7 novembre a Salerno presso l’Istituto “Genovesi Da Vinci”, gli studi sulle molteplici prove manipolate, gli interrogatori incompleti e le tante mancanze da parte di una magistratura che, per diversi anni, ha cercato soltanto di chiudere le indagini marchiando come delitto a sfondo sessuale un delitto che andava a scardinare oltre cinquant'anni di storia italiana.
L’avvocato Maccioni, insieme alla criminologa Simona Ruffini ed al giornalista Rai Valter Rizzo, studia e scava nel personaggio Pasolini e mette a confronto tutti quegli elementi mai del tutto approfonditi. Tre in particolare: il luogo del delitto, in cui oggetti, le deposizioni di Pelosi e le fotografie vengono scambiate e confuse, la prossima pubblicazione di “Petrolio” incentrato sugli affari dell’Eni e sulla morte misteriosa di Enrico Mattei e sulla figura oscura di Eugenio Cefis e la conseguente pista siciliana legata ai giovani della malavita di eversione di destra. Il petrolio, dunque, come filo rosso di tanti oscuri delitti. «Abbiamo lottato, raccolto prove - racconta Maccioni - chiesto alla Procura di Roma di riaprire l’inchiesta, lo abbiamo chiesto anche al Parlamento. Perché, sapendo che all’Idroscalo c'erano più persone, non ci si impegna a scoprire il vero movente? Forse perché verrebbe fuori una verità scomoda che qualcuno forse, ancora oggi, non vorrebbe che venisse fuori».
«Uno Stato - continua Maccioni - davanti a un nome e una storia come quella di Pasolini, non si può permettere ci chiudere un’indagine che, ripeto, oggi contiene ancora tantissimi indizi per cercare di arrivare ad una verità. Anche se ci fosse una minima possibilità la si deve percorrere, non si può pensare di dire “quello che si deve fare si è fatto”. Invito a leggere, tra i moltissimi scritti di Pasolini - spiega - “Perché il processo”. È inquietante cosa scrive della Cia e della “strategia della tensione”. Capiremo che forse c’era più di un motivo per ucciderlo di un rapporto sessuale andato male».
Maccioni fu anche autore della postfazione del libro “La Macchinazione” del giornalista e regista David Grieco, altro volume che ripercorreva il caso Pasolini in chiave giornalistica e, successivamente, in chiave cinematografica con il film omonimo con Massimo Ranieri protagonista.
Stefano Pignataro