L'INCONTRO
La lezione di Borsellino ai giovani del Galilei
SALERNO - «Non siete venuti a vedere il personaggio famoso, ma una donna normale, nata in una famiglia che ha sempre lavorato onestamente». È cominciato con queste parole, il discorso che Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, ha tenuto ieri mattina all’Istituto Galilei-Di Palo di Salerno, per portare la sua testimonianza presso le istituzioni, le scuole, nella comunità, affinché la strage del 19 luglio 1992, di via d'Amelio, durante la quale perse la vita suo padre e cinque uomini della scorta, non venga dimenticata. L’evento è inserito nell’ambito dell’iniziativa a difesa della legalità e l’azione afferente al Piano di miglioramento dell’Istituto Galilei, riguardante la cittadinanza attiva. Fiammetta Borsellino, aveva 19 anni quando l’efferatezza della mafia, stroncò la vita del padre e da quel momento, ha voluto condividere la sua storia personale, affinché ognuno senta la responsabilità di portare avanti i valori di queste persone che come Paolo Borsellino, hanno sacrificato e immolato la loro vita. «Non dobbiamo ascoltare queste vicende e metterle da parte, - ha spiegato Fiammetta Borsellino durante il suo accorato intervento - ma scegliere di intraprendere un percorso di cultura e di nuova legalità, che dobbiamo portare fuori da queste aule. Gli esempi di questi uomini, il loro vissuto anche se conclusosi tragicamente, deve essere patrimonio comune e ci insegna che nella vita è importante dire da che parte stiamo e se scegliamo di stare dalla parte giusta, compiamo un atto d’amore nei confronti della nostra terra e dei nostri simili. È ciò che fece mio padre, - ha aggiunto - mise la sua esistenza, il suo operato, a disposizione della sua gente, per liberarla dalla schiavitù della mafia, che non è altro che un organizzazione criminale che segue la via della ricchezza acquisita attraverso affari illeciti».Poi la figlia del giudice Borsellino ha sottolineato agli studenti: «Ma la mafia è anche nella mentalità che portiamo dentro. Ognuno di noi è un po’ mafioso, quando cediamo alle scorciatoie e usiamo la prepotenza e la sopraffazione per raggiungere degli obiettivi. Spesso le organizzazioni criminali, si nutrono proprio del consenso dei giovani, e quando questi ultimi smetteranno di essere solidali e compiacenti, si comincerà a respirare un’aria di libertà. La mafia si alimenta della paura di chi non ha il coraggio di denunciare, - ha continuato - mio padre ha sempre creduto nello stato e nonostante fosse cresciuto in un quartiere popolare di Palermo, dove frequentava anche i figli dei mafiosi, già da piccolo scelse da che parte stare e maturò molto presto, la necessità di fare qualcosa per la sua terra, diventando un giovane magistrato. Si occupò di mafia dopo che il capitano Basile e sua figlia piccola, furono uccisi, in un periodo storico durante il quale, molti innocenti persero la vita, a dimostrazione che tutti siamo vittime di questo sistema e tutti paghiamo un prezzo». E quindi soltanto la scuola, la cultura, la verità, la libertà, che sono diritti che nessuno può violare «possono darci la consapevolezza dei nostri doveri e la lotta alla mafia, si può fare con la conoscenza giusta, denunciando i soprusi e superando la paura. Paolo Borsellino - ha affermato ancora la fioglia - non era un eroe ma un uomo che voleva meritare il suo stipendio, come tutti noi, anch’egli aveva spesso paura, ma è necessario che insieme ad essa, conviva anche il coraggio. Ha avuto sempre la sua famiglia accanto e anche quando i pericoli erano concreti, non gli abbiamo chiesto di fermarsi». La solitudine però a volte circonda questi uomini che lottano contro le mafie «ma non è stato il suo caso, - ha detto Fiammetta Borsellino - e durante uno dei tanti momenti che condivise con il giudice Falcone, lo incoraggiò, dicendogli che la gente, faceva il tifo per loro. Mio padre sapeva che sarebbe morto nel momento in cui le istituzioni deviate lo avrebbero permesso e i suoi principali nemici, oltre alla mafia stessa, erano collocati proprio all’interno delle istituzioni, che non ebbero la reale volontà di combattere questo mostro. E mio padre, - ha concluso emozionata - nonostante non si fosse mai sentito solo, in quel preciso momento fu abbandonato, non venne protetto,e la mancanza di responsabilità morale, prese il sopravvento, segnando il suo destino». Il professore Emiliano Barbuto, preside dell’Istituto Galilei-Di Palo ha sottolineato invece quanto «sia importante sensibilizzare i giovani alla legalità, al rispetto del prossimo, presentando loro dei modelli positivi da dover seguire». Anche l’avvocato Pasquale Ferrante, dell’associazione Nova Juris di Salerno, e l’avvocato Giovanni Grimaldi, attivo sul territorio per la promozione sociale, si sono collegati alle parole del preside, affermando che «la legalità non è solo il rispetto delle leggi, ma un insieme di valori, strettamente connessi ai principi di civiltà».
Maria Romana Del Mese