L’INTERVISTA »DALLA CATTEDRA ALLA FICTION

Se Giovanni Falcone definiva la mafia «un fenomeno umano» per sottolineare, come ogni elemento prodotto dalla società, una certa ciclicità di inizio e di fine, si potrebbe affermare che, come ogni...

Se Giovanni Falcone definiva la mafia «un fenomeno umano» per sottolineare, come ogni elemento prodotto dalla società, una certa ciclicità di inizio e di fine, si potrebbe affermare che, come ogni fenomeno umano, anche quello mafioso per il forte impatto civile manifestatosi per due secoli, ha suscitato un acceso interesse da parte dei media che in molti anni hanno provato a raccontare e ad analizzarlo non solo nelle sue più crude rappresentazioni ma anche nelle sue mutazioni. Da storico dell’età contemporanea e in particolare della criminalità, Marcello Ravveduto, docente di Public e Digital History presso l’Università degli Studi di Salerno, compie un viaggio suggestivo, analitico e altamente figurativo nell’immaginario collettivo, cinematografico, televisivo, musicale e sociale nel contesto storico e civile dell’affermazione della criminalità mafiosa al giorno oggi. “Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione” (Ed. Gruppo Abele, 2019), è un saggio che Ravveduto ha potuto realizzare servendosi del rigore storico che gli compete senza tralasciare un marcata attenzione verso i nuovi linguaggi di cui la struttura criminosa si serve.
Professore, alla rappresentazione mediatica della mafia lei dedicò già un lavoro nel 2007 “Serenata calibro 9”. Analizzò la camorra attraverso le immagini e le parole dei cantanti neomelodici. Con che metodologia critica ha affrontato questo nuovo lavoro su uno stesso filone?
“Serenata calibro 9” fu definito contemporaneamente un lavoro storico e sociologico. “Lo spettacolo della mafia” si differenzia sostanzialmente nel metodo storico con cui l’ho scritto e con cui ho lavorato: il metodo della public e digital history. Nel mio studio cerco di analizzare il fenomeno mafioso in 70 anni di storia repubblicana attuando una ricostruzione analitica e storica del suo immaginario pubblico e della sua narrazione stessa. Una ricostruzione che avviene al di fuori dell’ambiente accademico ma che entra nella carne della società. Nel mio saggio è centrale il rapporto mafia-media, soprattutto come il mondo cinematografico abbia raccontato la mafia. Analizzo oltre 337 film ma anche le serie televisive perché è proprio nella nuova serialità televisiva che oggi ci viene proposta che è possibile studiare gli stereotipi, le mode, i segni, i linguaggi che la mafia e la nuova mafia indica e offre.
Anche la musica è un potente mezzo di comunicazione esatto ed inequivocabile...
Certamente. Nel libro porto l’esempio del cantante neomelodico Gianni Live che ha dedicato una canzone ai condannati per ’ndrangheta di Reggio Emilia dal titolo “Pe’ guaglione e ‘ l’Aemilia”.
La cinematografia italiana è satura di titoli che raccontano la mafia e i suoi criminali più efferati penso a “Lucky Luciano” di Rosi con protagonista Gian Maria Volontè. Cosa è cambiato, da quegli anni, nella rappresentazione?
I mafia moovies di quegli anni, in cui includo “Il giorno della civetta” di Damiano Damiani, erano film caratterizzati da un forte impegno civile più che da una certa esigenza memorialistica. Il cambiamento brutale che vi è stato in termini figurativi e tematici oltre che sociali vi è stato al momento delle stragi del 1992. Quelle stragi hanno lasciato una ferita indelebile in due generazioni, ne hanno plasmato l’immaginario stesso. Dopo quelle stragi nulla sarà più come prima. Le stesse fotografie che ne documentavano gli avvenimenti, i protagonisti sono entrati nel nostro immaginario collettivo. Prenda la foto che tradisce la complicità tra Falcone e Borsellino che si confidano sorridenti: è una foto che oggi e in futuro avrà una stessa rilevanza storiografica della foto di Anna Iberti sulla pagina del Corriere che annuncia la vittoria della Repubblica nel 1946 o di quella del bambino con le mani alzate nel ghetto di Varsavia.
Una generazione, quella del ’92, che ha subito attivamente quegli anni…
La mia generazione, appunto quella del ’92 (avevo esattamente 20 anni) che è cresciuta quasi con un senso di colpa insito e inconscio e con un dolore nascosto. Tutto ciò che è mafia, dal ’92, in poi, equivale a quel determinato contesto criminale. Non sono possibili metafore né accostamenti impropri perché effettuarli significherebbe, per il cittadino, violare libertà costituzionali e la stessa pietà dei defunti assassinati.
Lei dedica un capitolo del libro alla mafia “raccontata” dagli stessi mafiosi…
La mia attenzione, per questo capitolo, si è spostato su cerca 80 profili Facebook di giovani (ma anche non giovani) nuovi criminali. Ne ho analizzato foto, gesti, didascalie, posizioni assunte mentre ci si scatta un selfie, ho comparato le armi che si usano e le loro amicizie. Il risultato conseguito è stato un interessante quanto variegato affresco di criminalità virtuale ma allo stesso tempo digitale; non vi è più differenza tra la realtà e la virtualità.
Contrariamente alla mafia, come viene raccontata l’antimafia e la lotta civile, militare svolta quotidianamente dalle forze dell’ordine e dalla popolazione?
Da un punto di vista mediatico ciò che rappresenta l’immaginario dell’antimafia è il lutto. L’azione civile che va contro il fenomeno criminale è visto sempre con un qualcosa che prima o poi ha e avrà sempre a che fare con una componente luttuosa. Ciò ha lasciato spazio, per un certo verso, a un erroneo convincimento di una mafia presente solo dove vi siano efferati atti criminali come omicidi e stragi. In realtà il nuovo volto della mafia è economico. La mafia contemporanea non usa più la lupara (tranne in certe zone, si intende) ma è una mafia che gioca in borsa, che si è infiltrata al Nord Italia e che anche se non vi è il lutto, è presente più che mai con il suo volto più truce. Occorre, dunque, prestare attenzione alla rappresentazione cinematografica e anche televisiva del fenomeno mafioso nella nostra era contemporanea in cui, paradossalmente, nessuno ha mai visto un mafioso ma tutti conoscono la mafia: oggi la mafia stessa si è inserita in nuovi ambiti, con sempre più accoliti.
Stefano Pignataro
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