la traduzione
Il poeta Fresa si confronta con Baudelaire e i suoi Fiori del male
Il poeta salernitano Mario Fresa torna alla traduzione, con un’originale versione dal francese di uno dei capolavori della letteratura universale. In occasione del 150° anniversario della morte di...
Il poeta salernitano Mario Fresa torna alla traduzione, con un’originale versione dal francese di uno dei capolavori della letteratura universale. In occasione del 150° anniversario della morte di Charles Baudelaire, esce ora per Edb Edizioni di Milano “Alfabeto Baudelaire - Trame, figure e luoghi dei Fiori del male”, in cui Fresa si confronta con “I Fiori del male” del celebra autore maudit. Il libro esce in edizione limitata (solo 100 copie numerate a mano) ed è arricchito dai disegni originali di Massimo Dagnino. Fresa spiega che non si tratta di una pura traduzione ma nemmeno di uno stravolgimento. Nelle sue dodici versioni, prova ad introdurre la sensibilità di un poeta moderno: «Gli unici vezzi che mi sono concesso contemplano l’aggiunta di certe minime variazioni nell’uso dei segni di interpunzione e l’inserimento di qualche rara rima interna. Sono lievi e affettuose deviazioni che posso paragonare all’istante nel quale l’esecutore di uno spartito decide di lanciarsi, per amore della melodia, in una estemporanea puntatura, in una piccola cadenza, in una breve fioritura».
Così il celebre “Spleen” diventa la cifra di un tempo senza tempo, dove c’è sempre spazio per la segreta e oscura dialettica tra oblio e memoria: “Ho più ricordi che se avessi mille anni./Un grande mobile a cassetti, ingombro di bilanci,/ Di versi, di lettere d’amore, di verbali, di romanze,/ E di pesanti ciocche di capelli ravvolte in quietanze,/ Nasconde meno segreti del mio cervello triste./È una piramide, un immenso sepolcro,/ Che contiene più morti d’una fossa comune.../ ˗ Io sono un cimitero dalla luna aborrito/In cui, come rimorsi, si trascinano lunghissimi vermi/ Che s’accaniscono senza nessuna tregua sui miei più cari morti”.
Fresa, che ha preferito lasciare i versi nella loro purezza, senza contaminazioni e note, aggiunge i suoi contributi critici alla fine del volume. Di grande forza il discorso, quanto mai attuale, sugli aspetti poetici e psico-patologici dell’esistenza urbana: «La Città appare al poeta, per qualche istante, come il luogo perfetto per accogliere, in sé stesso, il delirio e il rapimento dell’ubriacatura e dello sperdimento. La violenta confusione della Metropoli, il suo cieco aggrovigliarsi entro le prosaiche ragne dell’affaccendarsi e del lavorare, i suoi stessi valori bassamente fisiologici ed empirici, sempre fondati sulla velocità, sulla meccanizzazione e sull’efficienza, costituiscono il presupposto di una progressiva e consumante disumanizzazione, di una continua alienazione prossima a generare il totale disfacimento del principium individuationis (…)».
Fresa (classe 1973) ha esordito in poesia alla fine degli anni Novanta, con l’avallo di Cesare Garboli e Maurizio Cucchi. Il mese scorso ha ricevuto in Irpinia il Premio Prata 2017 per la critica letteraria. (pa.ro.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Così il celebre “Spleen” diventa la cifra di un tempo senza tempo, dove c’è sempre spazio per la segreta e oscura dialettica tra oblio e memoria: “Ho più ricordi che se avessi mille anni./Un grande mobile a cassetti, ingombro di bilanci,/ Di versi, di lettere d’amore, di verbali, di romanze,/ E di pesanti ciocche di capelli ravvolte in quietanze,/ Nasconde meno segreti del mio cervello triste./È una piramide, un immenso sepolcro,/ Che contiene più morti d’una fossa comune.../ ˗ Io sono un cimitero dalla luna aborrito/In cui, come rimorsi, si trascinano lunghissimi vermi/ Che s’accaniscono senza nessuna tregua sui miei più cari morti”.
Fresa, che ha preferito lasciare i versi nella loro purezza, senza contaminazioni e note, aggiunge i suoi contributi critici alla fine del volume. Di grande forza il discorso, quanto mai attuale, sugli aspetti poetici e psico-patologici dell’esistenza urbana: «La Città appare al poeta, per qualche istante, come il luogo perfetto per accogliere, in sé stesso, il delirio e il rapimento dell’ubriacatura e dello sperdimento. La violenta confusione della Metropoli, il suo cieco aggrovigliarsi entro le prosaiche ragne dell’affaccendarsi e del lavorare, i suoi stessi valori bassamente fisiologici ed empirici, sempre fondati sulla velocità, sulla meccanizzazione e sull’efficienza, costituiscono il presupposto di una progressiva e consumante disumanizzazione, di una continua alienazione prossima a generare il totale disfacimento del principium individuationis (…)».
Fresa (classe 1973) ha esordito in poesia alla fine degli anni Novanta, con l’avallo di Cesare Garboli e Maurizio Cucchi. Il mese scorso ha ricevuto in Irpinia il Premio Prata 2017 per la critica letteraria. (pa.ro.)
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