L’INTERVISTA
Il giornalista Borrometi al Premio Torre di Pagani: «Sotto scorta per informare»
Il messaggio: «La cultura mafiosa va sconfitta con la conoscenza e lo studio»
Un giorno ricevi una telefonata, la tua vita è in pericolo, la mafia ti sta organizzando un attentato e da quel momento il tuo orizzonte cambia, cambiano i ritmi, cambiano le abitudini, cambia la percezione della libertà, sei sotto scorta, ma sei un trentenne con dentro tutta la speranza di poter abbracciare la verità. È la storia di Paolo Borrometi, giornalista, classe 1983, al quale ieri mattina è stato conferito il Premio nazionale per l’impegno civile Marcello Torre 2018 (insieme a padre Alex Zanotelli ). In conseguenza delle sue inchieste sulla mafia, Borrometi è stato minacciato di morte, sul suo capo pendeva una condanna scampata grazie alle intercettazioni dei carabinieri. Vittima di una grave aggressione fisica, gli hanno incendiato la porta di casa, gli hanno promesso di “scippargli” la testa. Ma Borrometi non ha calato il capo, non si è girato dall’altra parte, ha continuato il suo lavoro, scrivendo dei rapporti tra mafia e Italgas, del mercato ortofrutticolo di Vittoria, della gestione del trasporto su gomma da parte della camorra, le sue inchieste hanno portato allo scioglimento di Comuni siciliani, mettendo in luce atavici rapporti tra politica e malavita organizzata. Fondatore del portale www.laspia.it, il giornalista, originario di Ragusa, ha ricevuto il plauso del presidente della Repubblica ed è stato ricevuto dal Papa. Da poco è uscito il suo libro, il cui titolo “Un morto ogni tanto” fa il verso ad una frase pronunciata da chi voleva assassinarlo: “Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve!”.
Borrometi, cosa significa questo premio?
Un immenso onore. Sono cresciuto con la voglia di continuare a fare memoria viva, ovvero riunirci con il pretesto del premio, che però ci dà la possibilità di continuare a parlare ai ragazzi, per far capire loro come le idee e gli esempi di alcuni uomini e donne devono continuare a camminare sulle nostre gambe.
Quanto pesa la scuola?
È fondamentale. I giovani devono comprendere come la cultura mafiosa possa essere sconfitta con la cultura della legalità che parte dalle scuole, con la conoscenza e lo studio. Oggi non si ha memoria di chi ha dato la vita per questo paese. I ragazzi non sono solo il futuro, ma un meraviglioso presente.
Mafia come fenomeno locale o globalizzato?
Ne ho scritto nel mio libro. Le mafie oggi non sono confinate al Sud, ma al Nord e portano in Europa quei soldi che illecitamente acquisiscono nelle regioni meridionali.
Quali sono gli assi portanti del sistema mafioso in Italia?
Innanzitutto la droga. Ma anche le agromafie, il gioco d’azzardo, il gioco online. E poi ancora le trattative stato-mafia che continuano.
Quando ha capito che sarebbe diventato un giornalista?
Premetto che non esistono giornalisti anticamorra e anticorruzione, esistono giornalisti che fanno il proprio dovere. Io lo faccio a partire da una terra che è quella siciliana, lo faccio appartenendo ad una generazione dell’83, le cui prime immagini in tv sono state quelle di Capaci e via D’Amelio. Il mio giornalismo non poteva che ripercorrere quelle orme per tentare di chiedere verità e giustizia.
Lei vive sotto scorta. Se dovesse spiegarlo ad un bambino, cosa gli direbbe?
Che non posso andare a mare da oltre 5 anni, da quel giorno in cui ho ricevuto la telefonata e ho iniziato una esistenza blindata. Non vado più ad un concerto, ad una partita di calcio. Gli sbagli più belli e spensierati mi mancano. Ma a quegli stessi bambini continuo a dire che ho acquistato una libertà più importante, la libertà di pensiero e di parola.
Davide Speranza