Il fascismo a Salerno e la storia precedente Cinquant’anni di vita

Alfonso Gambardella rilegge uno spaccato della città Emergono le figure di De Martino, Menna e Amendola

DAVIDE SPERANZA. L’eco dell’epoca fascista continua a lasciare una profonda cicatrice nel “corpo” storico italiano. Mussolini, Gramsci, Rosselli, Matteotti, Ciano, Farinacci, Balbo non sono solamente nomi cui si legano accadimenti da studiare sui libri, ma incarnano blocchi ideologici fratturati e contrapposti che hanno materialmente partorito, con tutte le conseguenze belliche e post-belliche, nei decenni successivi, la condizione politica dell’Italia. Si affaccia così il concetto che, per comprendere meglio il presente, sia doveroso prima analizzarne l’origine. È il metodo di lavoro da cui è nato il volume di Alfonso Gambardella, “Salerno fascista. Potere provinciale e declino della città nella storia del Ventennio” (328 pag, 19 euro, edito da Marlin di Tommaso e Sante Avagliano), che uscirà il 3 dicembre. Docente di geografia economica, Gambardella assolve il suo desiderio: capire la Salerno politica, dopo la Seconda Guerra Mondiale, partendo dai primordi fascisti. Dunque, uno spaccato di cinquant’anni, prima, durante e dopo l’epoca buia del fascio.

Professore Gambardella, il suo è un esame del potere fascista locale?

Certamente il libro è centralizzato su Salerno. Ma non si limita al periodo 1922-43, bensì parte da un’analisi della situazione della città prima del fascismo, come le esperienze politiche di Nicola Fiore, da un punto di vista sindacale, e di Giovanni Amendola. Poi si passa al periodo fascista e, dopo il fascismo, il volume recupera due personaggi importanti dal punto di vista economico e sociale: Carmine De Martino, l’imprenditore innovatore dell’area della Piana del Sele, e Alfonso Menna che, nella sua esperienza di 40 anni di amministrazione civica, mette se stesso a disposizione di Salerno.

Perché lei parla di potere provinciale?

Il libro coniuga due aspetti. Il potere provinciale attraverso vari esponenti del fascismo e il potere che sta dentro la provincia da cui ne seguono gli sviluppi della Piana del Sele, le opere di bonifica, il grande sviluppo dell’agricoltura e il declino della città stessa. Salerno in sostanza, durante il fascismo, assiste al proprio ridimensionamento perché, tranne un’attività edilizia importante, esistente anche prima del fascismo, e la costruzione dei grandi edifici come Palazzo di Città, il Palazzo di Giustizia e il Palazzo Littorio, non ha una funzione centrale nell’economia territoriale. La acquisterà man mano grazie all’opera di De Martino e Menna, dopo. Due personaggi decisivi. Sia De Martino con la Saim del 1918, sia Menna con il Comune di Salerno, appartengono ad una cultura liberale meno legata all’esperienza fascista. Lo stesso Menna dirà che il fascismo non ha dato valore a questa città.

Com’era Salerno prima dell’avvento mussoliniano?

Era guidata da gruppi liberali dove assumeva funzione fondante il gruppo amendoliano. Tanto è vero che il fascismo, quando arriva, combatte proprio Giovanni Amendola, il rappresentante più forte di un gruppo che ha dato vita alla grande borghesia salernitana. E durante il fascismo, qual era il quadro amministrativo in città?

Salerno città non esprime nessun amministratore. Il primo podestà di Salerno è un agricoltore della Piana del Sele, Antonio Conforti di Battipaglia. Un altro è Jannelli di Sala Consilina. Un terzo podestà è Manlio Serio. Inoltre c’erano diatribe tra i gruppi fascisti salernitani. Vengono messi in disparte personaggi come Carlo Alberto Alemagna, pur essendo stato il maggiore teorico del fascismo prima che arrivasse al potere. In sostanza, il fascismo a Salerno ha soltanto portato avanti una serie di scontri interni. Non c’è un tratto di crescita e sviluppo. Anzi c’è una difficoltà di soluzione dei problemi. Ad esempio, le fonderie di Fratte negli anni ‘30 saranno messe in liquidazione. Mentre nella Piana c’è la bonifica, nell’Agro nocerino continua l’attività di trasformazione del pomodoro, Salerno ha come unico sviluppo l’edilizia. Quali sono state le fonti della sua ricerca?

Si basa sull’analisi di pubblicazioni che si chiudono col 1925-26. Dopo, fino al 1943, non c’è più nessuna pubblicazione che parli di questo periodo a Salerno. Il mio desiderio era capire come si era formata la classe politica del dopoguerra. Naturalmente, ho dovuto ritornare indietro al periodo fascista. Un lavoro laborioso. Ho consultato tutti i provvedimenti deliberativi del podestà e dei commissari dal ’23 al ’46.

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