I due medici eroi rimasti a Campagna per curare i bimbi

Rinunciarono a fuggire dal campo di internamento e nel 1943 allestirono un ambulatorio di fortuna

di ANGELICA TAFURI

Un. eroe per i cittadini di Campagna, un medico eccezionale per quelli di Grottaferrata, semplicemente papà per Michela Pajes. E’ così che Enrico Chaim Pajes viene ricordato a 23 anni dalla sua morte. Il medico polacco che salvò tanti cittadini di Campagna durante i bombardamenti di settembre del 1943 è ancora vivo nei ricordi di quanti lo hanno conosciuto, ancora presente nel modo di affrontare la vita di Michela sua figlia. «Ci ha insegnato a fare sempre la cosa giusta – racconta Michela Chaim Pajes - non si è mai sentito un eroe ma semplicemente un medico che ha compiuto il suo dovere». Dolcezza e determinazione nella voce di Michela che ripercorre con la memoria i racconti del suo papà, i ricordi di un medico, un uomo che dopo un’esperienza terribile come quella dell’internamento in un campo di concentramento, quello di Campagna, si è ricostruito una vita. «Papà era determinato, un combattente, l’educazione di mio nonno gli aveva insegnato a non sottomettersi, anche per questo che aveva scelto di diventare medico – continua Michela Pajes– Una scelta di vita, se avesse potuto avrebbe lavorato gratis, anche se di nascosto lo faceva la maggior parte delle volte».

Enrico Chaim Pajes, medico ebreo, era stato internato nel campo di Campagna di San Bartolomeo, ma la sua vicenda è eroica per un altro aspetto.

Pajes rinunciò alla libertà offerta da un militare che scardinò le sbarre di una finestra del Campo di San Bartolomeo per consentire agli ebrei internati di fuggire attraverso i monti Picentini. «Papà per anni ha cercato il sergente Tagliaferri che segò le sbarre per far scappare gli ebrei – racconta la figlia Michela – Ha scritto a giornali, tv, è andato persino in un programma di Enzo Tortora. Voleva incontrarlo, dirgli grazie per la possibilità di fuga che gli aveva concesso».

Una libertà rifiutata, Pajes insieme ad un altro amico e collega, Max Tanzer, decise di abbandonare la montagna, rinunciare alla loro sicurezza per rientrare a Campagna e soccorrere i feriti. Si erano messi in salvo insieme ad altri ebrei, prima del rastrellamento tedesco, raggiungendo le montagne ma, quando, il 17 settembre del 1943, si registrò un bombardamento sui civili, con tante vittime davanti al Municipio di Campagna, i medici Tanzer e Pajes tornarono in paese.

I due organizzano una improvvisata sala operatoria in una chiesa, con attrezzi di fortuna, compiono decine e decine di interventi. «Mi ha sempre spiegato che non c’era nulla di straordinario in quella decisione, lui era un medico ed era suo dovere aiutare i feriti – sottolinea Michela Pajes– mi ha descritto il caos delle persone che scappavano, dei feriti sotto le macerie e di quella sala operatoria approntata tra i banchi della chiesa». Racconti che contengono anche degli aneddoti rimasti impressi nella memoria di Michela. «Sorridendo - spiega - mi raccontava l’episodio di quando arrivarono gli americani. Stava operando nella chiesa con mezzi di fortuna, un grembiulone bianco legato alla vita quando sente che stanno arrivando i liberatori. Lascia tutto ed inizia a correre verso le truppe che stanno arrivando nel paese. I soldati, vedendo un uomo con un grembiule pieno di sangue corrergli incontro in maniera concitata, puntano i fucili. Lui alza le mani e tentando di farsi capire inizia a chiedere medicinali bende ed altro».

Per riconoscenza verso quei ‘carcerieri’ che li avevano sostenuti, accolti, dopo la liberazione, Pajes rimase a Campagna. Lì ha conosciuto sua moglie, un’insegnante elementare di Salerno, Lina Pastoire, che andava a visitare un alunno in cura dal medico polacco. «Un colpo di fulmine, papà era bellissimo assomigliava all’attore Stuart Granger, mamma bellissima. Si sono sposati dopo due anni di fidanzamento» racconta la figlia. Una dedizione al prossimo che lo ha accumunato al suo compagno di prigionia e collega nei soccorsi, Max Tanzer: «tra di loro è rimasto un legame fortissimo, zio Max è venuto anche al mio matrimonio» racconta Michela Pajes.

Dopo la guerra Enrico Chaim Pajes ebbe la chiamata a dirigere un centro a Grottaferrata dove si curavano persone provenienti dai campi di concentramento. «Accettò subito, papà aveva vissuto quell’esperienza – racconta Michela Pajes – mio padre è stato arrestato il giorno della sua laurea. Ci ha raccontato tutto del suo internamento a Campagna, della solidarietà dei campagnesi, del loro senso di gratitudine quando visitava senza chiedere nulla in cambio».

Oggi il consiglio comunale di Campagna, alla presenza dei figli, riconoscerà la cittadinanza onoraria ai due medici. «Alla cerimonia ci sarà mio fratello Giuseppe – conclude Michela Pajes – porterà in dono gli attrezzi dell’epoca usati da papà per allestire insieme a Tanzer un ambulatorio di fortuna». Insieme alla cerimonia in consiglio comunale di Campagna, presso il Museo della memoria sarà inaugurato un ambulatorio medico dove saranno esposti gli attrezzi che nelle sapienti mani di Tanzer e Pajes hanno salvato tante vite.

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