L'INTERVISTA

Guarracino: «Leopardi, un canto oltre l’Infinito»

Lo studioso cilentano è il massimo critico del poeta di Recanati: dal presente attingere germi di futuro
 

Poeta, saggista, docente, traduttore: diverse anime si mescolano e si fondono in una delle voci più autorevoli del panorama letterario italiano, quella di Vincenzo Guarracino, nativo di Ceraso e residente a Como. L’importanza di questo autore la percepiamo al solo scorrere i titoli della sua vasta produzione bibliografica: tre raccolte di versi, antologie di lirici greci e poeti latini, tra cui quella impareggiabile in bellezza dedicata ai carmi di Catullo, “Versi aurei di Pitagora”, il “Poema sulla Natura” di Parmenide, “Poeti cristiani latini”, la critica letteraria su Verga e poi Giacomo Leopardi, al quale ha consacrato oltre quarant’anni di studio.

Da pochi giorni è uscita la nuova edizione di un classico del pensiero leopardiano, “Giacomo Leopardi. Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” nel quale lei analizza il contenuto dell’opera...

L’attenzione verso Leopardi, che mi ha sempre accompagnato e guidato, fin dai tempi del Liceo e dell’Università (ricordo con venerazione il professore Salvatore Battaglia), è la fedeltà a un sistema di valori antichi in cui guardarsi come in uno specchio, all’idea che la poesia non è solo linguaggio dell’emozione e della sensibilità, ma soprattutto esercizio di complessità, pensiero che si fa profondità di stile e linguaggio. Questo, Leopardi mi ha fatto capire. Dicendomi che i limiti materiali, o psicologici, al desiderio di infinito, non sono ostacoli, ma piuttosto incentivi alla propria espansione e realizzazione (la famosa “siepe” dell’Infinito), sempre che in gioco entri l’immaginazione. 

I giovani escono profondamente turbati e cambiati dallo studio del poeta di Recanati...

Leopardi ti indirizza a considerare limiti e frustrazioni oggettivi come potenti risorse di messa in gioco di sé, come occasioni di confronto e di sfida con una realtà inamabile (“matrigna”, addirittura, come la chiama nella Ginestra). Se si legge il canto Bruto Minore forse si può capire come mettersi dinanzi alla “ruina”, al disastro storico, con animo apparentemente disperato ma anche in realtà con atteggiamento agonistico, prometeico. 

Come ricorda gli anni trascorsi al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania?

È passato più di mezzo secolo. Ogni tanto ci ritorno in quei luoghi ed è un rituffarsi in emozioni e antichi sogni che non si possono dimenticare. Anni da ritrovare nella memoria, attraverso i volti di persone amate, Maestri (come Antonio Caiazza e don Rocco De Leo) e condiscepoli (come Antonio Villano, Eugenio e Andrea Salati, Antonio Taddeo, Rosalba Ruocchio, Olimpia Della Cortiglia, Nunzia Stifano, Laura Guglielmotti, Pina Pizzolante), all’ombra di un nome come quello del filosofo “venerando e terribile” di Elea. 

Molti giovani amano la letteratura e i classici, tuttavia sono scoraggiati, nel prosieguo degli studi per ragioni che riguardano le possibilità in campo professionale...

La Cultura è una risorsa da non sottovalutare: è solo partendo da ciò che siamo e abbiamo che dobbiamo ricominciare. Dobbiamo attingere dall’angustia di questo presente germi di futuro in chiave di Utopia: la lezione dei classici, il messaggio di Foscolo e di Leopardi, per citarne due a noi più vicini (senza contare Padre Dante), sono una potente riserva energetica. 

Ha mai pensato di fondare nel Cilento una scuola di alta formazione di letteratura e cultura classica?

In altri tempi, forse sarebbe stato addirittura possibile e qualche cosa si era perfino tentato di farlo. Molti amici sono scomparsi (penso a Omar Pirrera, a Peppino Stifano, a Amedeo La Greca); altri resistono, come Vincenzo Bruno, don Luigi Rossi, don Carmine Troccoli, Primide Moretti, Antonio De Vita, ma con qualche anno in più e forse qualche illusione in meno, più o meno come me, ancorché con animo “disincantato ma non rinsavito”.

Mariella Marchetti