Fascismo e rivoluzione Volpe svela la terza via prefigurata da Bottai
Il Ventennio viene visto come un periodo intenso e dinamico caratterizzato da una serie di eventi che aprono all’attualità
Alcuni fattori ideologici del fascismo «contengono o possono contenere in sé i germi del futuro». Lo spiega nel libro “Il fascismo tra conservazione e rivoluzione” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane) l’autore Francesco Volpe già docente di Storia moderna e Storia sociale presso l’Università degli Studi di Salerno.
Nell’analisi che viene compiuta dal professore nel saggio si mette in evidenza come la pur vastissima storiografia del passato, intesa più che altro a celebrare o a demonizzare il regime, ha trascurato o minimizzato proprio questa peculiarità che invece può essere utile anche a capire l’attualità.
Nella intensa e dinamica attività del Ventennio una preminenza viene accordata anzitutto alla politica sociale, che portò alla riforma di istituzioni ereditate dal governo liberale e alla fondazione di nuovi enti assistenziali, che continuarono a fiorire nel periodo democratico: «Questo dimostra una continuità presente-passato - spiega il professore Volpe -. Sotto il profilo economico viene ricordato come negli anni Trenta il fascismo si inserì tra il mito liberista occidentale e il mito collettivista orientale con un progetto nuovo che apriva una “terza via”, nella quale uno degli elementi più importanti era costituito dalla dottrina del corporativismo, codificata nella Carta del Lavoro promulgata nel 1927».
Tra gli altri temi posti in risalto, come la politica coloniale e il razzismo, un tratto più impegnato è quello che riguarda la cultura, e specificamente la rivoluzione, non quella muscolare del Movimento, ma quella sognata da Giuseppe Bottai e dagli intellettuali raccolti intorno alla rivista “Primato” nel 1940, una rivoluzione intellettuale, antropologica, senza frattura verso il passato ma tesa verso «una conquista graduale e progressiva per la formazione di un italiano nuovo, vitale e forte, per realizzare la quale sarebbero occorsi vari anni se non decenni, ma fu bruscamente interrotta dagli eventi bellici. Una proiezione verso il futuro che è uno dei caratteri che distinguono il fascismo rispetto ad altri regimi autoritari e soprattutto rispetto al nazismo», aggiunge Volpe.
Riconoscendo che l’aspirazione rivoluzionaria appare oggi utopistica, si rimarca peraltro, nei capitoli conclusivi del libro, che la sconfitta del fascismo con la Seconda guerra mondiale non segna però la sconfitta dell’ideologia fascista, sia nel settore della politica sociale sia nel settore “terza via”-corporativismo, che continua ad essere oggetto di attenzione in certe manifestazioni della sinistra liberal, tanto da far dire a Jonah Goldberg che il fascismo non è un movimento di destra o reazionario, ma «uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria».
Questi dibattiti fondati su motivi culturali sembrano all’autore la parte più feconda e costruttiva per pervenire ad una oggettiva comprensione del fascismo, fenomeno non più ripetibile ma «tuttavia proteso verso il futuro per suggestioni ideologiche, mentre del tutto sterili e inopportune appaiono, da qualunque parte esse provengano, certe riesumazioni di tragiche conflittualità del passato, come certi discorsi populisti su ordine e funzionalità che solo un regime di tipo autoritario potrebbe assicurare» sottolinea l’autore.
Il lavoro di Volpe segue quindi la linea aperta da Renzo De Felice sviluppando progressivamente il discorso attraverso autori più o meno recenti come Hannah Arendt, Norberto Bobbio, Sabino Cassese, Eugenio Di Rienzo, Emilio Gentile, Ernesto Galli della Loggia, George L. Mosse, Ernst Nolte, Francesco Perfetti, Sergio Romano, Stanley G. Payne e non solo.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Nell’analisi che viene compiuta dal professore nel saggio si mette in evidenza come la pur vastissima storiografia del passato, intesa più che altro a celebrare o a demonizzare il regime, ha trascurato o minimizzato proprio questa peculiarità che invece può essere utile anche a capire l’attualità.
Nella intensa e dinamica attività del Ventennio una preminenza viene accordata anzitutto alla politica sociale, che portò alla riforma di istituzioni ereditate dal governo liberale e alla fondazione di nuovi enti assistenziali, che continuarono a fiorire nel periodo democratico: «Questo dimostra una continuità presente-passato - spiega il professore Volpe -. Sotto il profilo economico viene ricordato come negli anni Trenta il fascismo si inserì tra il mito liberista occidentale e il mito collettivista orientale con un progetto nuovo che apriva una “terza via”, nella quale uno degli elementi più importanti era costituito dalla dottrina del corporativismo, codificata nella Carta del Lavoro promulgata nel 1927».
Tra gli altri temi posti in risalto, come la politica coloniale e il razzismo, un tratto più impegnato è quello che riguarda la cultura, e specificamente la rivoluzione, non quella muscolare del Movimento, ma quella sognata da Giuseppe Bottai e dagli intellettuali raccolti intorno alla rivista “Primato” nel 1940, una rivoluzione intellettuale, antropologica, senza frattura verso il passato ma tesa verso «una conquista graduale e progressiva per la formazione di un italiano nuovo, vitale e forte, per realizzare la quale sarebbero occorsi vari anni se non decenni, ma fu bruscamente interrotta dagli eventi bellici. Una proiezione verso il futuro che è uno dei caratteri che distinguono il fascismo rispetto ad altri regimi autoritari e soprattutto rispetto al nazismo», aggiunge Volpe.
Riconoscendo che l’aspirazione rivoluzionaria appare oggi utopistica, si rimarca peraltro, nei capitoli conclusivi del libro, che la sconfitta del fascismo con la Seconda guerra mondiale non segna però la sconfitta dell’ideologia fascista, sia nel settore della politica sociale sia nel settore “terza via”-corporativismo, che continua ad essere oggetto di attenzione in certe manifestazioni della sinistra liberal, tanto da far dire a Jonah Goldberg che il fascismo non è un movimento di destra o reazionario, ma «uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria».
Questi dibattiti fondati su motivi culturali sembrano all’autore la parte più feconda e costruttiva per pervenire ad una oggettiva comprensione del fascismo, fenomeno non più ripetibile ma «tuttavia proteso verso il futuro per suggestioni ideologiche, mentre del tutto sterili e inopportune appaiono, da qualunque parte esse provengano, certe riesumazioni di tragiche conflittualità del passato, come certi discorsi populisti su ordine e funzionalità che solo un regime di tipo autoritario potrebbe assicurare» sottolinea l’autore.
Il lavoro di Volpe segue quindi la linea aperta da Renzo De Felice sviluppando progressivamente il discorso attraverso autori più o meno recenti come Hannah Arendt, Norberto Bobbio, Sabino Cassese, Eugenio Di Rienzo, Emilio Gentile, Ernesto Galli della Loggia, George L. Mosse, Ernst Nolte, Francesco Perfetti, Sergio Romano, Stanley G. Payne e non solo.
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