LA STORIA
Amore e giustizia, la vita nella Pompei antica
Due storie. Una d’amore e una di giustizia ambientate nella Pompei dell’età romana. Due storie che hanno in comune il suggellare l’emozione e la voglia di vivere che però vengono inevitabilmente stroncate da quella eruzione che cancella pietrifica tutto e che fa arrivare fino a noi le vicende di un tempo lontano ma che affascina ancora. Le racconta Angelo Coccaro nel suo ultimo lavoro letterario “Le mie piccole divagazioni sull’arte. Da Caravaggio a Bernini, dettagli che fanno la differenza” (Curcio editore).
Nell’opera lo sguardo attento dell’ingegnere, originario del Cilento, e appassionato d’arte si sofferma in una delle tante tappe anche sul passato e in particolare a Pompei. A far da cornice quei resti e reperti antichi, molti dei quali ancora intatti, seppelliti per millenni dalla furia devastante del Vesuvio e che ci riportano indietro alla quotidianità di duemila anni fa. In questo contesto storico Coccaro racconta due vicende che potrebbero anche apparire molto diverse tra di loro ma che invece danno la possibilità di conoscere come si viveva nella Pompei romana. La prima storia parte dal ritrovamento di un bracciale a forma di serpente - rinvenuto a Moregine presso la foce del fiume Sarno - che reca un’iscrizione interna “domina ancillae suae” (il padrone alla sua schiava, ndr). «Lo scrittore ha il vantaggio, rispetto allo scienziato, di anteporre alle certezze le emozioni, - spiega Coccaro - così ho immaginato che quel bracciale fosse il dono di un protettore a una prostituta della quale era segretamente innamorato. Fu poi la violenza del vulcano a infrangere il sogno di libertà della ragazza, forse illusa da quel dono».
Ed ecco che ancora una volta interviene lo scrittore, e la sua visione soggettiva, pronto a immaginare che l’ultimo gesto compiuto dalla prostituta prima della sua morte fosse quello di coprirsi il braccio su cui splendeva quel bracciale d’oro, simbolo di un amore interrotto. Si va molto distanti dalla realtà? Non proprio leggendo anche le cronache del tempo giunte fino a noi. Non meno coinvolgente è poi l’altra vicenda narrata nel libro: è un episodio di giustizia pompeiana legata al ritrovamento di uno schiavo con al collo ciò che restava di una catena che lo teneva imprigionato, con al suo interno incisa la frase “sono di proprietà di”, usanza molto diffusa a quei tempi per sottolineare la condizione di schiavitù di un uomo considerato al pari di un oggetto. Lo schiavo incatenato era accanto al corpo del suo padrone, e in questo caso è stato il vulcano a fare giustizia, privando entrambi della facoltà di scappare di fronte all’impeto dell’eruzione. «Può essere che questi fatti saranno scritti e raccontati in un modo diverso dal mio, - aggiunge Coccaro - ma nessun problema perché in qualità di scrittore ho voluto solo dare emozione a storie che provengono da un passato lontano ma che ancora oggi emozionano».
Maria Romana Del Mese