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Carbone e Gassani, i “Principi del Foro”

di Enzo Todaro
Carbone e Gassani, i “Principi del Foro”

Il 26 marzo 2023 cessava di vivere il cuore generoso del penalista Paolo Carbone riconosciuto “Principe del Foro di Salerno”. Erede della nobile tradizione dell’avvocatura penale salernitana che ha rappresentato mirabilmente e ai massimi vertici in molte vicende giudiziarie rese clamorose dalla cronaca. Paolo Carbone inizialmente voleva percorrere la strada del giornalismo, ma sentì imperioso il bisogno di lasciare il giornalismo per dedicarsi, con animo e cuore, all’avvocatura penale. E che avrebbe raggiunto in questo settore dell’avvocatura vertici impensati per l’eloquio avvincente e persuasivo se ne accorse per primo l’insigne avvocato Mario Parrilli che lo accolse nel proprio studio quale praticante. All’ombra del grande maestro si fece le ossa che in seguito gli valsero il titolo di “Principe del Foro”. Semplice, schietto, come si conviene ad un lucano di nascita e salernitano di adozione, intraprese la carriera di penalista, ovvero di avvocato giramondo per le curie d’Italia. Ha lasciato questo pazzo mondo quando nessuno poteva ipotizzare il suo viaggio verso l’eternità. Ma spesso l’amore per il giornalismo si affacciava all’orizzonte dei suoi interessi culturali e la sua firma compariva su organi di informazione a tiratura nazionale. Un secondo amore, dopo quello forense, che si manifestò con la direzione responsabile del giornale “La Giustizia” organo ufficiale dell’Ordine degli Avvocati di Salerno. Spesso ci incontravamo per ricordare il giornalismo di ieri e di oggi e amichevolmente duettare su processi che investivano, nel bene e nel male, uomini noti e meno noti della società.

Il 27 marzo 1981, invece, veniva trucidato, nel proprio studio legale, nel cuore della city, da due spietati killer della camorra, Dino Gassani, penalista insigne. Un altro “Principe del Foro di Salerno” che univa alla passione per la toga un’oratoria travolgente intrisa di riferimenti giurisprudenziali. Amava di un amore sconfinato la toga e non perdeva occasione di difenderla ove se ne presentasse l’occasione. Perché fu ucciso Dino Gassani? Difronte alla richiesta dei due killer, che si erano presentati camuffandosi come “clienti” di far ritrattare al proprio cliente la testimonianza di accusa nei confronti del clan dal primo collaboratore di giustizia, già componente della “famiglia” capeggiata da Raffaele Cutolo, Dino Gassani rispose negativamente scrivendo su un foglio di carta: «Non posso perdere ogni dignità». Una frase a cui fecero seguito i colpi di arma da fuoco dei due camorristi. Insieme a Dino Gassani, fulgido esempio di attaccamento alla toga, fu ucciso anche il suo fido segretario Pino Grimaldi che aveva visto in faccia i killer. A Dino Gassani il Presidente della Repubblica, Napolitano, ha concesso la medaglia d’oro alla memoria.

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