Uccise la moglie, chiesti 15 anni di cella 

La donna fu picchiata e spinta giù per le scale al culmine di un litigio. Per la Procura fu omicidio preterintenzionale

CASTELLABATE. «C’è un solo elemento a favore dell’imputato: quello di avere chiamato il 118». Lo dice il pubblico ministero Paolo Itri, al termine della requisitoria in cui ieri mattina ha chiesto 15 anni di carcere per Liberato Miccoli, il 55enne di Castellabate che nel 2015 ha ucciso la moglie facendola rotolare per le scale di casa. Quella telefonata alla centrale operativa dell’emergenza, fatta quando la 49enne Angela Della Torre era ancora viva e che ne consentì il ricovero in ospedale, è il tassello che evita all’ex ferroviere l’accusa di omicidio volontario, ancorando l’imputazione alla qualifica di omicidio preterintenzionale. «Le modalità furono però molto gravi» ha sottolineato il pm, spiegando che «qui non si parla dello schiaffetto a seguito del quale si finisce, per caso, con la testa contro uno spigolo». La dinamica ricostruita dagli inquirenti è infatti quella di un litigio violento, nel corso del quale la donna è stata picchiata e forse sbattuta contro un muro o, come ha raccontato l’imputato, spinta verso la scalinata. «Chiedo una pena che sia adeguata alla gravità del fatto» ha scandito il pubblico ministero, mentre Miccoli si metteva le mani sul volto e crollava seduto sulla panca del gabbiotto nell’aula della Corte d’Assise. Dal maggio del 2017 è in carcere, e un mese fa ha provato a raccontare ai giudici la sua versione dei fatti rispondendo alle domande di pm e difensori. «Io non volevo causare tutto questo – ha dichiarato – Ricordo il viso di mia moglie a terra, che si alzava di scatto, aveva gli occhi aperti; poi è ricaduta e ha sbattuto la testa. Non potrò mai dimenticarlo». Era il maggio del 2015, la donna morì il 29 dicembre, dopo sette mesi di ricovero in ospedali e centri di riabilitazione neurologica durante i quali aveva dato segni di ripresa ma non era mai stata in grado di parlare per ricostruire cosa era accaduto.
La tragedia avvenne nella loro abitazione di località San Pietro, nel comune di Castellabate. «Stavamo litigando per gelosia – ha raccontato Miccoli – lei mi accusava di cose non vere. È stato un attimo: è rotolata prima su una rampa di scale, poi si è fermata ma subito il corpo si è girato e la caduta è continuata». Ha spiegato di averla raggiunta a metà della seconda rampa, di averla presa in braccio e di averla riportata su. «L’ho chiamata(“Angela, Angela”, ma lei non rispondeva. Così ho telefonato al 118 e ho chiesto aiuto». Quella telefonata gli alleggerisce adesso il peso delle accuse, ma non gli evita la richiesta di condanna per omicidio. A giugno parleranno i suoi difensori, Leopoldo Catena e Vincenzo Morriello, poi la Corte d’Assise pronuncerà la sentenza.
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