Tre condanne all’ergastolo per l’omicidio di Fratte  

Carcere a vita per il boss Matteo Vaccaro, il figlio Guido e Roberto Esposito

Ergastolo. Sono quasi le 11 di sera quando la presidente della Corte d’Assise, Lucia Casale, pronuncia la parola che condanna al carcere a vita Matteo Vaccaro, il figlio Guido e l’amico Roberto Esposito. Per i giudici non vi è alcun dubbio che siano loro i responsabili del duplice omicidio che esattamente tre anni fa insanguinò Fratte, lasciando sull’asfalto i corpi di Antonio Procida, 41 anni, e del 38enne Angelo Rinaldi. In aula, ad ascoltare la sentenza, ci sono i familiari delle vittime, costituitisi parte civile, e quelli degli imputati. Qualcuno scoppia in lacrime.
Fu un delitto commesso per mantenere «il controllo del territorio ed assicurarsi il predominio criminale», ha detto nella requisitoria il pubblico ministero Silvio Marco Guarriello. Un agguato che ebbe il suo innesco nella campagna elettorale per le regionali del 2015, quando Vaccaro e le due vittime entrarono in contrasto per la gestione delle affissioni, ma che secondo la Procura affondava radici in un più ampio riassetto degli equilibri criminali. Era il 5 maggio del 2015. Quella mattina Matteo Vaccaro e Antonio Procida avevano litigato nella piazzetta di Fratte, dove Procida gestiva il Vintage Caffè. Il boss era andato a chiedergli conto dei manifesti elettorali che insieme ad Angelo Rinaldi stava affiggendo tra Matierno e Ogliara per Lello Ciccone, candidato al consiglio regionale per Forza Italia. Uscito da pochi mesi dal carcere, Vaccaro era deciso a riaffermare in tutti gli aspetti il suo predominio nella zona, minato dall’avanzata degli uomini di Ciro Marigliano; invece Procida lo sfidò con quella frase, «non conti più niente», che per gli inquirenti è stata la sua condanna a morte. Il capoclan 57enne ordinò l’omicidio, chiamando a raccolta il figlio Guido e tramite lui Roberto Esposito, che già nel ’99 era stato coinvolto nell’agguato mortale a Luigi Caravano (per questioni legate alla droga) e lo scorso ottobre è stato condannato a 8 anni per un traffico di eroina. Nel primo pomeriggio, dopo una caccia all’uomo, i killer raggiunsero Procida e Rinaldi mentre percorrevano insieme, in sella a uno scooter, la salita di via Magna Grecia, abbastanza vicino all’abitazione di Procida perché la moglie sentisse gli spari e vedesse dal balcone il marito riverso sull’asfalto. A pranzo il 41enne le aveva confidato i timori per quel litigio con Vaccaro, e poco prima aveva telefonato a Ciro Marigliano per chiedere aiuto e consigli. Intorno alle 13 i due si erano anche incontrati, ma quando alle 16.45 il capoclan del rione Petrosino provò a ricontattarlo al telefono, lui e Rinaldi erano già senza vita.
A inchiodare gli imputati, oltre alla ricostruzione della lite, ci sono i filmati telecamere installate nella zona. Le difese ne contestano l’attendibilità, sia per la poca nitidezza delle immagini che per uno sfalsamento degli orari di registrazione, e sarà ancora questo uno degli elementi principali su cui punteranno gli avvocati Massimo ed Emiliano Torre, Fabio de Ciuceis e Fedele Varsi nei motivi di appello. Per la Corte, invece, quelle riprese testimoniano la presenza dei Vaccaro e di Roberto Esposito sulle strade di andata e ritorno dal luogo dell'omicidio. E darebbero contezza anche dei cambi di abbigliamento e di ruoli (prima Matteo Vaccaro in sella a uno scooter dietro a Esposito, poi il boss in auto e il figlio Guido alla guida dello scooter, con dietro l’amico)con cui si sarebbe tentato di depistare le indagini. Sono le 15.53 quando Guido Vaccaro e Roberto Esposito vengono ripresi in piazza a Ogliara a bordo dalla Ford Ka nera con cui stavano cercando di rintracciare Procida. Esposito esce dal lato guida, prende qualcosa dall’interno del veicolo e sembra infilarsela nella cintola dei pantaloni. Quel qualcosa, secondo gli inquirenti, potrebbe essere la pistola usata per il delitto. Mai ritrovata.
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