CAOS SANITA'

Ruggi, l’odissea di Pierluigi «Due giorni su una barella»

Cure impossibili per il giovane con distrofia muscolare: «C’è da attendere...»

SALERNO - «Siamo in attesa dalle 14.30: Pierluigi è su una barella dell’ambulanza nel corridoio senza aver fatto praticamente nessun controllo. Un ragazzo distrofico su una barella, io ho una sediolina». Sono le 18.26: dall’altro capo del telefono c’è Imma Diana , la mamma di quel ragazzo in attesa da ore. Sono arrivati nel primo pomeriggio del 4 gennaio al Pronto soccorso dell’ospedale Ruggi perché il giovane, affetto da distrofia muscolare di Duchenne, ha un’insufficienza respiratoria. Di solito è la madre che si occupa delle sue cure, ha un’intera stanza attrezzata con tutti i macchinari che servono per far in modo che Pierluigi possa arrestare il più possibile l’incedere della malattia, alleviare le sofferenze e aiutarlo nel sostenere le difficoltà che quotidianamente la distrofia mette sul suo cammino.

Passa qualche minuto, whatsapp suona nuovamente: «Pierluigi - continua Imma con la voce sempre più rotta dalla preoccupazione e dal pianto - ha bisogno di ventilazione. Ho fatto discussione con non so se con dei medici o degli infermieri, fatto sta che finalmente gli hanno fatto l’emogas ed è emerso che ha una cirrosi respiratoria. E nessuno se ne importa nulla. Lui è sulla barella, a me hanno dato una sediolina. Attorno a me vedo casi di persone con il Covid, sono preoccupatissima. Siamo abbandonati a noi stessi».

Trascorrono le ore e Imma non da alcun segnale dall’ospedale di via San Leonardo. Il telefono squilla a vuoto. Passa ancora altro tempo. È il 5, sono passate quasi 24 ore da quando Pierluigi è arrivato al pronto soccorso. E finalmente risponde: «No, non è cambiato nulla», il messaggio della donna, sempre più affranta. «Siamo rimasti qui per tutto il tempo. Ora - continua - mi hanno comunicato che l’ospedale Ruggi non ha i macchinari che servono per trattare il caso di Pierluigi. Ma non mi sanno dire se e dove potrebbe essere trasferito. Quindi, intanto, potrebbe essere trasferito in reparto ma non mi è chiaro nulla soltanto che siamo qui da più di un giorno e nessuno si è occupato realmente delle condizioni di mio figlio. Continua a restare sulla barella ma adesso gli hanno messo una maschera per l’ossigeno che mi sembra quella che viene solitamente utilizzata per la rianimazione per tampinare la situazione ma non va bene per lui. Tra l’altro sembra quello del film “The Mask”».

Passa ancora del tempo. Non arriva nessuna comunicazione: Imma e Pierluigi sono ancora al Pronto soccorso senza sapere che cosa ne sarà di loro. «Normalmente - si sfoga la donna - sono abituata a combattere per ottenere anche il minimo sindacale per mio figlio e sono abituata a essere lasciata da sola nella mia battaglia per la sua assistenza. Ma almeno in ospedale mi sarei augurata di trovare un sostegno, speravo che almeno qui mio figlio e la sua malattia grave fossero considerati. Invece siamo qui come se fossimo inesistenti. Aspettiamo, ci dicono che non possiamo fare altro. Ma io mi domando se questo è un ospedale degno di questo nome. E, in queste ore, sto vedendo attorno a me un caos tale da rendere la situazione a dir poco vergognosa», lo sfogo finale dopo più di un giorno in attesa di una risposta, di una parola di conforto, di qualcuno che possa dare finalmente sollievo alle sofferenze di un ragazzo che sta affrontando l’ennesima odissea della sua vita, lasciato su una barella del Pronto soccorso del Ruggi ancora una volta al centro dei problemi e dei disagi che, a cadenza praticamente ritmica, vengono segnalati da tanti utenti che cercano un aiuto e che invece, sempre più spesso, devono attendere prima di vedere quel sollievo tanto sperato. E che sempre più spesso diventa impossibile.

Eleonora Tedesco