Omicidio di Pugliano, assolto l’amante 

Resta senza un colpevole la morte di Maria Ricco, trovata carbonizzata nella sua auto nel luglio di sei anni fa

MONTECORVINO PUGLIANO . L’assassino di Maria Ricco non è il suo amante. Sergio Avigliano, 52 anni, consulente aziendale, l’unico imputato di questo efferato delitto, è stato assolto ieri dalla Corte d’Assise di Salerno per non aver commesso il fatto. L’uomo era presente alla lettura del dispositivo ed è esploso in un pianto liberatorio quando il presidente Giocoli ha pronunciato la formula assolutoria. In mattinata il pubblico ministero Roberto Penna aveva chiesto che fosse condannato a 26 anni di reclusione per omicidio, occultamento e distruzione di cadavere. Avigliano era accusato di avere strangolato la 53enne Maria Ricco quel pomeriggio di luglio di sei anni fa e di aver bruciato il suo corpo nella Hyundai. Per l’accusa lo aveva fatto dopo un incontro clandestino in località Cavallieri, tra la frazione Santa Tecla, dove viveva la donna, e Faiano: il luogo dove gli amanti si incontravano di nascosto dopo il segnale convenzionale di uno squillo al cellulare.
Quello sulla morte della Ricco è stato un processo indiziario, nel quale gli elementi raccolti portavano ad Avigliano che fu anche arrestato e poi rimesso in libertà dalla Cassazione. In dibattimento l’accusa ha puntato su alcuni dettagli investigativi, tra cui il cosiddetto “giallo delle chiavi”: dal mazzo della vittima mancava quella di casa, chiave che l’assassino – secondo la Procura – aveva usato per prendere la bombola di gpl e la cornice con la foto dei figli e costruire la scena di quello che doveva sembrare un suicidio. Per l’accusa l’amante aveva strangolato la vittima durante un momento di intimità. Poi era andato a casa di lei per prendere il materiale con cui simulare il suicidio. Al termine della requisitoria, il pm Penna aveva chiesto che l’imputato fosse condannato a 21 anni per l’omicidio, due per l’occultamento del cadavere e tre per la sua distruzione. Per l’accusa il raptus omicida sarebbe scattato quando la 53enne aveva manifestato l’intenzione di rendere pubblica la relazione, dopo essere stata scoperta dal marito. I resti carbonizzati furono ritrovati da un olivicoltore che segnalò alle autorità un’auto bruciata in fondo alla stradina di campagna. Le indagini appurarono che era l’auto della bracciante agricola di Santa Tecla, e che dentro c’era il suo corpo senza vita.
Tre mesi, tanti se ne sono riservati i giudici per depositare le motivazioni. Solo dopo si potrà valutare un eventuale ricorso in appello. Facoltà che hanno anche i familiari della vittima, costituitisi parte civile e assistiti dall’avvocato Costantino Cardiello. Le impugnazioni saranno incentrate sui particolari (tabulati telefonici e tempi di azione), che hanno fatto pendere in primo grado la bilancia dalla parte di Avigliano. Se la sentenza di assoluzione scagiona il consulente, si apre ora un interrogativo: chi ha ucciso Maria?
Massimiliano Lanzotto
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