L'INTERVISTA
Il pm Itri: «Io, Brusca e quei 150 omicidi di mafia»
Il magistrato cilentano racconta i suoi incontri col boss siciliano poi “pentito”: «Giusta la scarcerazione dopo 25 anni di cella»
NAPOLI - «È meglio tenere in carcere Brusca e lasciare liberi 50 stragisti come lui, oppure scarcerarlo (dopo 25 anni di detenzione) e tenere in cella 50 mafiosi sanguinari? ». Il magistrato cilentano Paolo Itri, già pm a Vallo della Lucania e ora sostituto presso la Dda di Napoli, non ha dubbi: «La scarcerazione di Giovanni Brusca è una cosa giusta e la legge che lo ha consentito rappresenta l’arma più importante contro le mafie. E, non a caso – ricorda il magistrato – è stata voluta da Giovanni Falcone».
Dottore lei ha conosciuto personalmente Giovanni Brusca?
Sì, l’ho interrogato diverse volte. La prima volta per il quintuplice omicidio dei Vastarella, un delitto avvenuto nella metà degli anni ’80 nella masseria dei Nuvoletta. Brusca fu uno degli esecutori materiali della strage. Fu mandato a Napoli direttamente da Totò Riina per occuparsi dello scioglimento delle vittime nell’acido. Poi l’ho interrogato altre volte per la vicenda della strage del Rapido 904.
Che effetto le fece ritrovarsi dinanzi il capomafia che azionò il telecomando della strage di Capaci e che decise l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo?
La prima volta lo incontrai nel carcere di Rebibbia. Mi porse educatamente la mano e si presentò per nome e cognome. Ebbi l’impressione che mi esaminasse per sondare il mio livello di conoscenza dei fatti. I pentiti siciliani fanno molta attenzione a come gli poni le domande, e nel rispondere si attengono rigorosamente a quello che gli chiedi, senza mai divagare. Tocca all’inquirente trarre le conseguenze e continuare con altre domande.
Che atteggiamento aveva Brusca durante gli interrogatori?
Per quanto riguarda le vicende processuali di cui mi sono occupato, ebbe un comportamento processuale corretto e sincero, riferendo con precisione tutto quello che sapeva, senza omettere e senza aggiungere nulla rispetto alla sua conoscenza dei fatti. Le sue dichiarazioni furono tutte riscontrate in maniera positiva. Mi apparve molto deciso e convinto della sua scelta collaborativa.
Rimase colpito da qualcosa in particolare?
Ricordo un particolare piuttosto curioso. La prima volta che lo incontrai, al termine dell’interrogatorio gli chiesi di quanti omicidi si fosse macchiato. Lui mi guardò un po’ stranito, forse si meravigliò della mia domanda, e mi rispose di non averli mai contati, e che potevano essere più o meno una settantina. Dopo qualche minuto, però, mentre stavo per andare via, tornò spontaneamente sull’argomento e mi disse che ci aveva pensato meglio e che doveva correggere la sua precedente affermazione, in quanto di omicidi ne aveva fatti molti di più, circa 150.
Si impressionò?
No, ma rimasi un po’ meravigliato da questa sua precisazione, che tutto sommato non aveva una grande importanza. Forse si vergognava di ammettere di avere ammazzato tutta quella gente, ma comunque non voleva rimanere con lo scrupolo di avermi detto una cosa inesatta.
Brusca ha mai manifestato paura?
Non mi ha mai dato l’impressione di essere un uomo spaventato per le possibili conseguenze della sua scelta collaborativa, tutt’altro. D’altra parte ho avuto modo di conoscere e interrogare tutti e tre i fratelli Brusca, non solo Giovanni ma anche Enzo ed Emanuele. Ne parlo diffusamente nel mio libro “Il Monolite, storie di camorra di un giudice antimafia”. Soltanto Enzo, una volta, mentre aspettavamo la scorta e scambiavamo qualche battuta, diventò improvvisamente serio. Ricordo che mi disse “dottore, noi scherziamo, vedo che è di buon umore, ma guardi che con ‘quello’ c’è poco da scherzare. Lei questo lo sa, non è vero?”.
A chi si riferiva?
A Totò Riina. Mi consigliò di fare molta attenzione e di non fidarmi perché a suo dire era pericoloso come un serpente.
La scarcerazione di Brusca ha creato polemiche e malumori…
Era facilmente prevedibile. Moralmente, per tutto ciò che ha fatto, a Brusca non basterebbero 200 anni di carcere. Però da magistrato credo che la sua scarcerazione sia una cosa giusta. È la conseguenza di una legge dello Stato voluta da Giovanni Falcone e che condivido pienamente. Al momento è l’arma più importante che abbiamo contro le mafie.
Stiamo parlando di un mafioso che ha ucciso oltre 150 persone…
Sì, ma è un mafioso pentito. E grazie al suo pentimento lo Stato è riuscito a mettere in ginocchio l’organizzazione di Cosa Nostra e ad assicurare alla giustizia centinaia di mafiosi. Pensi che secondo la recente ordinanza della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo, persino per i mafiosi non pentiti, condannati all’ergastolo, a determinate condizioni sarà possibile accedere alla liberazione condizionale dopo 26 anni di detenzione. L’importante è dimostrare di essersi allontanati dal contesto criminale di appartenenza, di non essere più pericolosi. Lo dice la Corte Costituzionale sulla base del carattere rieducativo della pena.
Lei pensa che Brusca sia un uomo diverso oggi?
Io credo che da un punto di vista etico, il fatto stesso di avere scelto un percorso di verità sia importante. Non dico che Brusca sia redento, questo lo sa solo lui. Ma credo che a fronte di una scelta di verità non si possa rimanere indifferenti.
La confessione è anche un modo per fare i conti con il proprio passato...
Non vorrei apparire blasfemo, perché il potere di rimettere i peccati appartiene solo a Dio, per chi è credente. Eppure il fatto stesso di ammettere i propri sbagli, di aprirsi all’esterno, richiede un percorso interiore molto complesso e doloroso, a cui dobbiamo comunque rispetto.
Non crede sia giusto apportare delle modifiche alla legge sui pentiti?
È un’ottima legge che ha dimostrato di funzionare assai bene. Allo stato non cambierei nulla.
Vincenzo Rubano