PASSEGGIATE NELLA STORIA

Ferdinando II soggiornò a Torraca

Nell’autunno 1852 il sovrano giunse nel borgo. Fu ospitato nel castello da Biagio Palamolla

La strada si inerpica nervosa, tra virgole e tornanti, nel verde intenso della macchia mediterranea, tra cerri e sugheri, ulivi e vigne, ginestre, vitalbe e aromatiche “mortelle”. Volgendo lo sguardo alla costa, in un colpo d’occhio da delirio, si scorgono, paciose, le scintillanti marine del Golfo di Policastro e, in lontananza, la sagoma scura del monte Bulgheria che fa da cassaforte di memorie e da sentinella muta all’ampia valle del Bussento, il fiume della storia e della leggenda di questa mitica terra. Torraca appare all’improvviso, dopo l’ennesima curva, aggrumata sulla collina, privilegiata e raccolta, case dai tetti rossi, unite dal ricamo di stradine e vicoli, scalinate e piazzuole, archi e cortili, siepi e muriccioli che cingono orti e giardini placidi e odorosi.

Sulla parte più alta dell’abitato il castello medievale dei Palamolla, per secoli padroni e signori del borgo, si erge ancora poderoso, testimone di una lunga e travagliata storia. Fu Decio Palamolla a comprare, nel 1599, per 13.700 ducati, feudo e maniero di Torraca, che rimasero nelle mani di questa potente e nobile famiglia fino all’abolizione della feudalità. Memorabile, nella storia locale, in epoca risorgimentale, la visita e la sosta al castello, in qualità di ospite d’eccezione, di Ferdinando II, sovrano del Regno delle Due Sicilie. Nell’autunno del 1852, quattro anni dopo l’insurrezione popolare del 1848, la morte del patriota cilentano Costabile Carducci e la violenta repressione borbonica, Ferdinando II, intenzionato a dare un risalto maggiore alla consueta, annuale campagna di addestramento dell’esercito, decise di portarsi nell’estremo Sud del Regno con un contingente formato da due divisioni, otto squadroni di cavalleria e venti pezzi di artiglieria, concentrati nei pressi della cittadina lucana di Lagonegro.

Un’operazione che, dal 27 settembre al 29 ottobre, lo condusse, attraverso il lembo meridionale del Golfo di Policastro, la Basilicata e la Calabria, fino a Catania. A descrivere una minuziosa e accurata cronaca degli avvenimenti, pubblicata a caldo negli “Annali Civili del Regno delle Due Sicilie” (fascicolo XCII del 1852), fu Bernardo Quaranta (1796-1867) dei Baroni di San Severino, noto intellettuale napoletano, titolare, all’epoca, della cattedra di archeologia e letteratura greca presso la Regia Università degli studi di Napoli. Il viaggio iniziò la sera del 27 settembre al porto di Napoli con l’imbarco del Re e dello Stato maggiore dell’esercito sul piroscafo militare “Fulminante”, affiancato da una piccola flotta di scorta formata da cinque fregate a vapore: la “Guiscardo”, la “Ruggiero”, la “Sannita”, la “Carlo III” e la “Veloce”. Facevano parte del seguito il principe ereditario sedicenne Francesco Maria Leopoldo, duca di Calabria, e il fratello venticinquenne Francesco Luigi Emanuele, conte di Trapani. Il re aveva 42 anni ed era sul trono da 22.

Sbarcò la mattina del 28 nella rada di Sapri, dove, con la “Fulminante”, gettarono le ancore anche le navi di scorta. Da qui, constatata la mancanza di strade, il sovrano proseguì a piedi, lungo viottoli, tratturi e scorciatoie, alla volta di Torraca, dove, accolto con grande entusiasmo, alloggiò nel castello feudale del vecchio marchese di Poppano, Biagio Palamolla che, per grave caduta da cavallo, vent’anni prima si era ritirato dalle guardie del corpo, col grado di brigadiere e portastendardo. Il re, prima di riprendere il viaggio, conferì al Palamolla il titolo di duca di Torraca; e il marchese, a perpetuo ricordo dell’avvenimento, fece cingere con una catena di ferro l’ingresso del castello e murare sulla facciata esterna una grande lapide in latino.

Informato del fatto che, a poca distanza da Torraca, in una casa di campagna, era in fin di vita il vecchio prete Vincenzo Peluso di Sapri, fedelissimo dei Borbone e presunto mandante dell’assassinio di Costabile Carducci, eroe dei Moti del Cilento del 1848, Ferdinando II volle andare a fargli visita, a piedi, accompagnato dal figlio e dagli aiutanti. Il Peluso, accasciato dagli anni e dalla malattia, baciò ripetutamente la mano al sovrano per il suo gesto. Morì poco dopo. Le cronache del tempo riferiscono che nel corso della prima tappa del suo viaggio, tra Sapri e Torraca, re Ferdinando concesse in elemosina 342 ducati, finanziò il restauro delle due chiese cittadine e, al fine di sviluppare i traffici commerciali tra lo Ionio e il Tirreno, dispose che le amministrazioni del Principato Citra e della Basilicata si accollassero i costi «della strada che da Sapri dovrà dirigersi al comune di Torraca e da questo congiungersi all’attuale strada regia in un punto più agevole, per prolungarsi di là fino a quella che lungo l’intera valle del fiume Sinni si dirige al lido del Ionio».

Lasciata Torraca, alla taverna del Fortino Ferdinando II trovò una berlina di corte, sulla quale entrò a Lagonegro alle 4 del pomeriggio del 29 settembre. Da qualche anno l’amministrazione comunale di Torraca ha inserito, con successo, la rievocazione storico-folcloristica della visita di Ferdinando II nel carnet degli appuntamenti estivi per il turismo.