Castellabate, 12 anni all’uomo che spinse la moglie dalle scale
La donna morì in ospedale dopo sette mesi di ricovero Miccoli condannato per omicidio preterintenzionale
CASTELLABATE. Omicidio preterintenzionale. Con questa accusa i giudici della Corte d’Assise hanno condannato a 12 anni di carcere il 55enne Liberato Miccoli, che nel maggio del 2015, al culmine di un litigio, spinse la moglie Angela Della Torre dalle scale del loro appartamento di Castellabate. Da quella caduta la 49enne non si è mai ripresa: morì il 29 dicembre, dopo sette mesi di ricovero in ospedali e centri di riabilitazione neurologica, e non è stata mai più in grado di parlare per ricostruire i dettagli di ciò che era accaduto. Il difensore di Miccoli, l’avvocato Leopoldo Catena, aveva chiesto di derubricare il reato in omicidio colposo, ritenendo che la morte fosse una conseguenza non voluta e che l’uomo non solo non aveva immaginato quell’epilogo tragico ma nemmeno aveva avuto intenzione, con quella spinta, di far rotolare la moglie lungo le due rampe di scale dell’abitazione. I giudici hanno invece condiviso la tesi dell’omicidio preterintenzionale sostenuta dal pubblico ministero Paolo Itri, che per l’imputato aveva chiesto una condanna a 15 anni.
La pena è stata ridotta con l’applicazione di attenuanti generiche che la Corte, presieduta dal giudice Vincenzo Ferrara, ha ritenuto equivalenti alle aggravanti. A favore dell’uomo ha deposto in particolare la telefonata fatta al 118 subito dopo essersi conto della gravità della situazione, e l’assistenza prestata alla moglie durante l’intero periodo di ricovero. «Io non volevo causare tutto questo – ha detto nel corso di una deposizione in aula – Stavamo litigando per gelosia, lei mi accusava di cose non vere; è stato un attimo: è rotolata prima su una rampa di scale, poi si è fermata ma subito il corpo si è girato e la caduta è continuata». Dal maggio del 2017, quando è stato chiaro che la caduta non era stata casuale, l’ex ferroviere è in carcere. (c.d.m.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
La pena è stata ridotta con l’applicazione di attenuanti generiche che la Corte, presieduta dal giudice Vincenzo Ferrara, ha ritenuto equivalenti alle aggravanti. A favore dell’uomo ha deposto in particolare la telefonata fatta al 118 subito dopo essersi conto della gravità della situazione, e l’assistenza prestata alla moglie durante l’intero periodo di ricovero. «Io non volevo causare tutto questo – ha detto nel corso di una deposizione in aula – Stavamo litigando per gelosia, lei mi accusava di cose non vere; è stato un attimo: è rotolata prima su una rampa di scale, poi si è fermata ma subito il corpo si è girato e la caduta è continuata». Dal maggio del 2017, quando è stato chiaro che la caduta non era stata casuale, l’ex ferroviere è in carcere. (c.d.m.)
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