«Agenti Usa a Fuorni», scatta l’inchiesta
La deputata Cunial in carcere con 2 persone per “contattare” l’hacker D’Elia: «Nessuna spia, c’era un avvocato di Brescia»
SALERNO. Nessun americano sarebbe entrato nella Casa circondariale di Fuorni assieme alla deputata del gruppo misto, Sara Cunial, per avere un “contatto” diretto con Arturo D’Elia, il 39enne hacker detenuto nel penitenziario cittadino, sospettato negli States di frode elettorale, per aver manipolato il voto impedendo così la rielezione di Donald Trump. Ad accompagnare la parlamentare, ex del Movimento 5 Stelle e nota per la sua posizione no vax, sarebbe stata, al contrario, così come dispone la normativa vigente, una sola persona. Che, certamente, non era di nazionalità statunitense, ma sarebbe stato un avvocato bresciano, come s’evince anche dai registri sui quali obbligatoriamente s’annota chi entra e chi esce dal carcere. È quanto emerge dai primi accertamenti da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che ha avviato un’indagine interna, chiedendo lumi anche alla direttrice del carcere di Salerno, Rita Romano: le prime verifiche fanno escludere che due cittadini statunitensi possano essere entrati come dei fantasmi nella struttura penitenziaria e avere, quindi, approfittando anche del regime carcerario “aperto” per avvicinare D’Elia e interrogarlo, seppure per solo per qualche minuto. «Ho avuto modo di leggere la narrazione - evidenzia la ministra della Giustizia, Marta Cartabia - e ci siamo attivati di fronte a queste indiscrezioni».
La spy story. Una ricostruzione ufficiale dei fatti che, qualora fosse confermata, non collimerebbe affatto con le dichiarazioni del diretto interessato, D’Elia. Perché l’ex consulente informatico di Leonardo, all’epoca detenuto per aver sottratto dati aziendali, conferma a “la Repubblica”, assieme al suo avvocato, Nicola Napoliello, di essere stato avvicinato da «due soggetti con accento americano» che gli rivolsero alcune domande relative proprio alle elezioni americane, non ricevendo nessuna risposta da parte di D’Elia. Che, in base a quanto riferito al quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, avrebbe chiamato la polizia penitenziaria, segnalando l’anomalia e cercando di proteggersi. Tant’è che il suo difensore avrebbe chiesto conto di quanto accaduto alla direzione del carcere che, a detta del legale «si sarebbe scusata», informando anche i pm. La visita che ha scatenato la spy story sarebbe avvenuta all’inizio di quest’anno, precisamente il 19 gennaio, e presenta alcune anomalie che saranno approfondite.
La visita anomala. Al di là della presenza o meno degli investigatori americani, appare certamente strano che la parlamentare del gruppo misto si sia interessata al penitenziario salernitano. Certo tutti i parlamentari hanno il diritto di poter ispezionare le carceri italiane, potendosi avvalere della presenza, come recitano le disposizioni in materia del Ministero della Giustizia, di un «accompagnatore per ragioni d’ufficio». Tuttavia è anomalo che una deputata residente ed eletta in Veneto, e pertanto al di fuori della propria circoscrizione regionale, s’interessi ad un carcere campano. Tenuto pure conto che la visita non è stata nemmeno pubblicizzata sui mass media, come invece avviene quando altri parlamentari ispezionano i penitenziari. Dunque attorno alla vicenda c’è ancora qualche alone di mistero che potrà essere spazzato via solo e quando anche la deputata fornirà la sua versione dei fatti.
Le tesi del complotto. A dare la stura all’intrigo e a far suonare l’allarme del complotto internazionale, con tappa nel carcere di Salerno, è stato il libro “Betrayal: The Final Act of the Trump Show”, opera del giornalista americano Jonathan Karl. Secondo la ricostruzione contenuta nel libro, infatti, Kash Patel (capo dello staff del Sottosegretario alla Difesa in epoca Trump) avrebbe chiesto a Ezra Cohen (Sottosegretario alla difesa per l’intelligence e la sicurezza) di inviare degli uomini per parlare proprio con D’Elia, tirato in ballo dai teorici del complotto in quanto accusato di «un grave attacco alle strutture informatiche» della ex Finmeccanica. Karl racconta che il via alle indagini dell’intelligence americana, poi condotte dal Scott Barrier, sarebbe partito il 2 gennaio 2021 su richiesta sia di Karsh Patel che del Segretario alla Difesa ad interim Chris Miller.
Gaetano de Stefano
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
La spy story. Una ricostruzione ufficiale dei fatti che, qualora fosse confermata, non collimerebbe affatto con le dichiarazioni del diretto interessato, D’Elia. Perché l’ex consulente informatico di Leonardo, all’epoca detenuto per aver sottratto dati aziendali, conferma a “la Repubblica”, assieme al suo avvocato, Nicola Napoliello, di essere stato avvicinato da «due soggetti con accento americano» che gli rivolsero alcune domande relative proprio alle elezioni americane, non ricevendo nessuna risposta da parte di D’Elia. Che, in base a quanto riferito al quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, avrebbe chiamato la polizia penitenziaria, segnalando l’anomalia e cercando di proteggersi. Tant’è che il suo difensore avrebbe chiesto conto di quanto accaduto alla direzione del carcere che, a detta del legale «si sarebbe scusata», informando anche i pm. La visita che ha scatenato la spy story sarebbe avvenuta all’inizio di quest’anno, precisamente il 19 gennaio, e presenta alcune anomalie che saranno approfondite.
La visita anomala. Al di là della presenza o meno degli investigatori americani, appare certamente strano che la parlamentare del gruppo misto si sia interessata al penitenziario salernitano. Certo tutti i parlamentari hanno il diritto di poter ispezionare le carceri italiane, potendosi avvalere della presenza, come recitano le disposizioni in materia del Ministero della Giustizia, di un «accompagnatore per ragioni d’ufficio». Tuttavia è anomalo che una deputata residente ed eletta in Veneto, e pertanto al di fuori della propria circoscrizione regionale, s’interessi ad un carcere campano. Tenuto pure conto che la visita non è stata nemmeno pubblicizzata sui mass media, come invece avviene quando altri parlamentari ispezionano i penitenziari. Dunque attorno alla vicenda c’è ancora qualche alone di mistero che potrà essere spazzato via solo e quando anche la deputata fornirà la sua versione dei fatti.
Le tesi del complotto. A dare la stura all’intrigo e a far suonare l’allarme del complotto internazionale, con tappa nel carcere di Salerno, è stato il libro “Betrayal: The Final Act of the Trump Show”, opera del giornalista americano Jonathan Karl. Secondo la ricostruzione contenuta nel libro, infatti, Kash Patel (capo dello staff del Sottosegretario alla Difesa in epoca Trump) avrebbe chiesto a Ezra Cohen (Sottosegretario alla difesa per l’intelligence e la sicurezza) di inviare degli uomini per parlare proprio con D’Elia, tirato in ballo dai teorici del complotto in quanto accusato di «un grave attacco alle strutture informatiche» della ex Finmeccanica. Karl racconta che il via alle indagini dell’intelligence americana, poi condotte dal Scott Barrier, sarebbe partito il 2 gennaio 2021 su richiesta sia di Karsh Patel che del Segretario alla Difesa ad interim Chris Miller.
Gaetano de Stefano
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