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Domenico De Rosa: «Ue di facciata, il conto lo paga l’industria»

Automotive Package. Per il Cavaliere «transizione senza stabilità: così si perde competitività»
Domenico De Rosa: «Ue di facciata, il conto lo paga l’industria»

Il 16 dicembre 2025 la Commissione ha presentato l’“Automotive Package”. Che cos’è?
È un pacchetto di misure che prova a tenere insieme decarbonizzazione e competitività: nuova traiettoria sulle norme CO2 per auto e van, proposta sulle flotte aziendali, interventi sulla filiera batterie e un capitolo di semplificazione amministrativa.

La notizia simbolo è il 2035: che cosa cambia davvero?
La Commissione propone che dal 2035 i costruttori debbano rispettare un target di riduzione del 90% delle emissioni allo scarico; il restante 10% va “compensato” tramite meccanismi che citano acciaio a basse emissioni prodotto in UE e/o e-fuels e biocarburanti.

Quindi il motore termico è salvo?
No: è un cambiamento di facciata che rischia di lasciare intatta la sostanza. Si passa da un divieto “secco” a un sistema di “compensazioni”: più contabilità, più certificazioni, più variabili. E soprattutto più incertezza per chi deve investire.

Perché lei parla di instabilità e di investimenti al buio?
Perché quando riscrivi le regole mentre la filiera ha già impegnato capitali enormi su piattaforme, supply chain e fabbriche, produci un effetto immediato: il rischio aumenta e il costo del capitale sale. Le aziende non hanno bisogno di slogan, hanno bisogno di una traiettoria leggibile e stabile.

Passiamo alle flotte aziendali: cosa prevede la Commissione?
Una proposta con target obbligatori a livello di Stato membro per accelerare la quota di veicoli a zero e basse emissioni nelle flotte delle grandi aziende, con avvio dal 2030 e un sotto-obiettivo dedicato alle zero emissioni.

Perché Bruxelles insiste così tanto sulle flotte?
Perché sono una leva enorme sulle immatricolazioni e alimentano il mercato dell’usato. L’idea è “spingere” oggi per creare un usato più accessibile domani. Ma se imponi target senza mettere in parallelo infrastrutture e convenienza economica, rischi di trasformare la transizione in un obbligo che trasferisce costi su imprese e lavoratori.

Le PMI vengono coinvolte?
L’impostazione comunicata è di colpire le grandi flotte, lasciando fuori le PMI. È un punto di equilibrio necessario: la piccola impresa non può diventare il bancomat di una transizione progettata male.

Nel pacchetto si parla anche di un incentivo alle “piccole elettriche”. Che cosa significa?
Viene indicata una nuova categoria di piccole EV (soglia sotto 4,2 metri) con meccanismi tipo “super-credit”: ogni vendita potrebbe valere 1,3 nel calcolo degli obiettivi CO₂ del costruttore fino al 2034. È un tentativo di rendere sostenibile la city-car elettrica in Europa, dove oggi i margini sono strettissimi.

E sul lato industriale delle batterie?
È previsto un “Battery Booster” da 1,8 miliardi, inclusi 1,5 miliardi in prestiti senza interessi per la produzione di celle. È un tassello importante: senza una filiera batterie europea, il rischio è sostituire la dipendenza energetica con una dipendenza industriale.

Anche per van e veicoli commerciali leggeri arrivano correttivi?
Sì, l’impostazione generale è più flessibile perché su van e LCV la transizione è più complessa: utilizzi intensivi, tempi di rientro economico diversi, infrastruttura spesso insufficiente. È un riconoscimento tardivo della realtà.

La Commissione parla anche di semplificazione amministrativa. È credibile?
Tagliare burocrazia è sempre positivo, ma non è il cuore della partita. La vera semplificazione è una: stabilità regolatoria. Se cambi impostazione ogni 12–18 mesi, congeli investimenti e rendi l’Europa meno attrattiva rispetto a USA e Asia, che danno segnali più lineari.

In chiusura: qual è la sua proposta?
Transizione sì, ma con tre condizioni: neutralità tecnologica reale, obiettivi seri ma perseguibili, e una traiettoria stabile per almeno un decennio. Se imponi target senza governare energia, infrastrutture e costo del capitale, ottieni il contrario: più fragilità industriale e meno consenso sociale.

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