Trecentoventisette giorni. È il tempo ch’è passato da quel maledetto 28 luglio, l’orribile giorno che segnerà per sempre la vita d’un uomo e delle sue tre figlie. A maggio scorso, il battipagliese Nando Brignola, rappresentante di prodotti surgelati prima di quel dannato tuffo in piscina, ha compiuto 60 anni: impossibile festeggiarli, perché è ridotto a un vegetale su un letto di Terapia intensiva, dov’è “parcheggiato” dal tramonto di febbraio.
Inutilmente, perché, per riprendere a vivere, Nando avrebbe bisogno di sottoporsi a neuroriabilitazione: i medici del Cto di Roma, l’ospedale che da settembre scorso ospita il 60enne battipagliese, lo hanno scritto a chiare lettere nella cartella clinica del paziente. La direzione del presidio capitolino ha fatto sapere ai familiari d’aver inviato richieste a quattro aziende accreditate: una ha centri sparsi in tutta Italia, l’altra è a Telese Terme, ce n’è una a Isernia e l’ultima a Eboli. Solo che il trattamento è in lungodegenza, e dalle strutture hanno risposto picche: non c’è un posto per Nando.
E Nunzia Brignola, 32 anni, una delle tre figlie che con dedizione assistono l’amato padre, è disperata: «Vorrei una bacchetta magica, avere il potere di trovare una soluzione affinché papà torni come prima». Oggi Nando, battipagliese di Serroni Alto, è un codice 75: tradotto dal “medichese”, vuol dire che è un paziente con gravi cerebrolesioni acquisite. Articola poche sillabe, è praticamente immobile sul letto dell’ospedale. Al Cto fanno quello che possono: di tanto in tanto, al capezzale dell’uomo, arriva una logopedista, ma è troppo poco rispetto a ciò di cui necessita il 60enne, protagonista d’un calvario che si protrae da poco meno d’un anno.