«Quando il giudice ha letto la sentenza, ne sono certo, Annarella era accanto a me». Da quel dannato primo marzo, Enzo Borsa ha smesso d’essere “uno”: al risveglio, guarda dentro di sé e dice buongiorno all’amata sorellina, che rivive nel «25 per cento di cuore superstite». Poi s’alza dal letto e porta avanti le sue tre missioni: dare forza a mamma e papà, lottare perché non si ripeta, esistere per lei.
Enzo Borsa, qual è stato il primo pensiero alla lettura del dispositivo di sentenza?
Ho pensato a mamma e papà, ai loro occhi, alle lacrime che hanno versato e continuano a versare. Anna l’ho sentita accanto a me, ne sono certo. Come se tranquillizzasse “il suo bambino”, così mi chiamava. Quando fu uccisa, le promisi giustizia. Non esistono parole adatte, perché la sentenza è giunta al termine d’uno stillicidio, come se dovessimo difenderci. Da cosa? Per ciò che ci ha tolto, come sarebbe stato possibile non dargli l’ergastolo?
Lei ha voluto essere presente tutte le udienze. Perché?
Perché l’ho promesso a lei e per rappresentare i miei. Da quel primo marzo, il 75 per cento del mio cuore è morto: ne sopravvive il 25, e lì ci sono Anna, mamma e papà. Combatto con i demoni che porto dentro ogni giorno, ma ho messo il mio dolore in tasca per loro. Non riesco a piangere: neppure oggi (ieri, ndr) ho versato lacrime. Ho sentito un grido di liberazione dentro, quello sì. Anna non tornerà mai indietro, ma lui pagherà.
+++L’ARTICOLO COMPLETO SULL’EDIZIONE ODIERNA DEL QUOTIDIANO CARTACEO+++