Salerno è tra le province italiane con la produttività del lavoro – misurata rapportando il valore aggiunto (Pil al netto delle imposte dirette) alle unità di lavoro standard – più bassa d’Italia. Nel Salernitano, infatti, è di 164 euro giornalieri, mentre la media italiana è di 210,6 euro. Un risultato che colloca la nostra provincia al 90esimo posto nella graduatoria nazionale. Peggio di Salerno in Campania si posizionano solo Avellino (160,4 euro) e Benevento (146,7 euro). Anche la Campania è quint’ultima, con una media giornaliera di 170,2 euro e un Pil per abitante al giorno di 63,4 euro, che fa sì che si piazzi addirittura al terzultimo posto nazionale.
I dati emergono dal report dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre che mette in risalto come l’Italia, nel confronto con gli altri Stati dell’Unione europea, sconti un gap importante, soprattutto nei confronti dei Paesi del Nord Europa. E questo perché Il Belpaese non dispone più di grandissime imprese e di multinazionali, ma è caratterizzato da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da micro e Pmi ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività non elevatissimi, eroga retribuzioni più contenute delle aziende di dimensioni superiori – condizionando così l’entità dei consumi – e presenta livelli di investimenti in ricerca/ sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive.
Inoltre, al netto dell’inflazione, in questi ultimi 30 anni le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste al palo, mentre in quasi tutta l’Unione europea sono aumentate. Tra le cause del risultato italiano sono da annoverare la crescita economica asfittica e un basso livello di produttività del lavoro che dal 1990 ha interessato il nostro Paese, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle cause di questo risultato va ricercato anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali competitori europei, in questo ultimo trentennio la competitività del nostro Paese ha risentito dell’assenza delle grandi imprese. Queste ultime sono pressoché scomparse, non certo per l’eccessiva numerosità delle piccole realtà produttive, ma a causa dell’incapacità dei grandi player, spesso di natura pubblica, di reggere la sfida innescata dal cambiamento provocato dalla caduta del muro di Berlino e da “Tangentopoli”.