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Incendio di Persano, schiaffo alla Stato (e al nostro futuro)

di Tommaso Siani
Incendio di Persano, schiaffo alla Stato (e al nostro futuro)

Il fuoco appiccato alle balle di rifiuti (utilizzare il prefisso “eco” per definirle – soprattutto come si è fatto in questi anni – ci pare francamente fuori luogo; e non dà l’esatta definizione di cosa si tratta: monnezza tal quale) nel comprensorio militare di Persano, è uno schiaffo tirato in faccia allo Stato, alla speranza e al futuro di tanti cittadini che abitano questa terra che i latini definirono “felix” ma che in realtà è oggi pervasa da metastasi – come la camorra e la mala gestio della cosa pubblica – che hanno violentato e annichilito la convivenza civile, lasciando il posto all’opportunismo e al malaffare. Uno schiaffo tirato in faccia allo Stato, perché quelle balle di rifiuti erano custodite – si fa per dire, visto che in un campo sterminato a nessuno è venuta l’idea di piazzare almeno una telecamera – in un’area dell’Esercito Italiano, per sua stessa definizione inviolabile e invalicabile.

Ebbene, la mano esperta che ha appiccato il fuoco ha violato e valicato il perimetro imposto dallo Stato, ha organizzato in maniera scientifica il suo attentato e messo in pratica il suo piano. Cioè distruggere quell’immondizia e, nel contempo, lanciare un segnale forte: “Questa terra è nostra; la “roba” è nostra; e noi colpiamo dove e quando vogliamo”. Una sfida a uno Stato che in questa occasione non ha saputo custodire nemmeno un cumulo di rifiuti. Le indagini della Procura ci diranno – speriamo presto – il perché di questo rogo, la mano che ha agito, l’obiettivo prefissato dagli attentatori. Ma questo non ci deve far distogliere lo sguardo da quelle che sono state le inerzie e le gravi responsabilità di una classe politica locale e nazionale – di centrodestra e centrosinistra, pari sono – che da oltre trent’anni ha affrontato la catastrofe della gestione dei rifiuti in Campania come una ciclica, imprevedibile emergenza, non piuttosto come un problema endemico, strutturale.

Insomma, come fa una massaia un po’ sciatta e svogliata, si è preferito nascondere la polvere sotto al tappeto. Tutti ricorderanno il “salvifico” intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che giunto a Napoli accompagnato dall’allora sottosegretario Guido Bertolaso e dal presidente della Regione dell’epoca, Stefano Caldoro, pronunciò, armato di ramazza, la famosa frase: “Fra tre giorni a Napoli non ci saranno più rifiuti”. Era l’ottobre del 2010, la città era letteralmente sommersa e sfregiata da migliaia di tonnellate di immondizia. E la storia tutti sanno come finì: un piano discariche senza capo né coda, localizzate – guarda un po’ – lontano da occhi mediatici indiscreti, da Napoli. E un termovalorizzatore, quello di Acerra, ancora pietra dello scandalo. Seguirono rivolte popolari, occupazioni e “masanielli” vari che, come i galli del detto popolare, hanno costruito sulla monnezza le loro carriere politiche.

Nel frattempo la camorra faceva affari d’oro, offrendo a caro prezzo i suoi servigi allo Stato, mettendo a disposizione società, camion e operai, comprese le sue terre già infarcite di veleni. Coprendo così la monnezza illegale con quella legale, ben pagata dallo Stato.
Negli ultimi 10 anni, quelli del governo regionale targato Vincenzo De Luca, non si è fatto certo meglio. Ricorderete la ribalta televisiva nazional popolare dei talk show che si guadagnò l’allora sindaco di Salerno quando, nei suoi interventi, era solito contrapporre la realtà della sua città di poco più di 100mila abitanti (pulita) con la Napoli-metropoli del disastro dei cumuli di monnezza nelle strade (sporca). Un “modello Salerno” che ha poi voluto replicare a livello campano. Dove però si è scontrato con una realtà ben diversa e ben più complessa.
Ed ecco l’incremento dell’esportazione dei rifiuti fuori dalla regione: vagonate di monnezza mandate nei più lontani angoli d’Europa (meglio nell’Est, dove non si va troppo per il sottile quando si tratta di sotterrare o bruciare) o stipate in container spediti in Africa (idem come nell’Est). Un giro d’affari enorme, che non poteva non risvegliare appetiti e connivenze.Nel frattempo le balle di monnezza continuano a svettare tra campi coltivati e panorami non più incontaminati della terra ex “felix”, in attesa di un treno o di una nave. Ed ecco l’ultimo, triste contraccolpo di questa storia immonda: il futuro, la speranza negata. Scriveva Peppino Impastato, il giornalista-attivista che fu ucciso dalla mafia per il suo impegno civile: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».

Ebbene, di fronte al disastro di Persano, a quella lunga trincea di balle di monnezza piazzata in una delle oasi naturalistiche più importanti della nostra regione, come si può insegnare la bellezza alla gente, come la si può educare alla curiosità, allo stupore? Ecco lo schiaffo più violento tirato in faccia allo Stato e alle coscienze di tutti noi. Un manrovescio difficile da sopportare.

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