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Salerno, il “lungomare dei dannati” fra alcol e illusioni

di Eleonora Tedesco
Il viaggio nel “miglio dimenticato” dopo le ultime violenze: mix di lingue, tante difficoltà e la voglia comune di scappare
Salerno, il “lungomare dei dannati” fra alcol e illusioni

Un ragazzo passa lentamente parlando al telefono in arabo: non è comprensibile né la provenienza né si capisce, come spesso accade a un italiano quando li ascolta dialogare, se stia litigando al cellulare o si tratti di un semplice scambio di informazioni. Poco più avanti un gruppo di bengalesi chiacchiera in una parlata altrettanto incomprensibile. Poi c’è l’italiano mischiato al francese dei migranti che arrivano dalle ex colonie e l’inglese dei turisti che parlano tra di loro o che chiedono informazioni. In pochi metri di Lungomare si sentono talmente tante parlate differenti che nemmeno in tutto il resto della città. Sembra paradossale, ma è proprio lungo questi pochi metri, simbolici e bellissimi, che si sperimenta l’integrazione e che si incontrano varie umanità che attraversano la città e si mischiano alla routine dei salernitani: dai turisti che restano sbigottiti davanti al panorama su cui si sporge il lungomare, alle giovani mamme e alle nonne di varie nazionalità che portano a spasso i bimbi, al ragazzo di colore seduto da solo sulla panchina con il cappuccio sulla testa che, alle 11 di mattina, è già alla seconda birra e alle coppie di pusher, sempre gli stessi, sempre allo stesso posto.

I luoghi simbolo

Pochi metri, tra i più panoramici e simbolici della città, che sono anche il luogo in cui si concentrano bellezza e dannazione, marginalità e progetti di rivalsa urbanistica. E c’è un prima e un dopo, una sorta di confine che divide i mondi: verso piazza della Concordia “i dannati”, a Santa Teresa “i beati”. «È l’alcol che li rovina», spiega un trentenne gambiano seduto accanto a un ragazzo, ancora più giovane, originario del Senegal.

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