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Porto, posti in bilico «Così la città perde la sua vera identità»

di Eleonora Tedesco
La coop in cattive acque: in 150 temono per il futuro «Le aziende ci dessero fiducia, evitiamo gli esuberi»
Porto, posti in bilico «Così la città perde la sua vera identità»

Tra di loro si chiamano tutti “fratm cugino”, l’espressione dialettale che istituisce una forma di parentela che non è sancita dai rapporti di sangue ma dalla vicinanza nella quotidianità della vita e che – probabilmente – ha ancor più valore. In realtà qualcuno è davvero appartenente allo stesso nucleo familiare ma, al di là delle forme, la Compagnia Portuale di Salerno è una realtà fatta di legami forti con i mestieri del mare e con la città. Una storia scritta dai bisnonni, poi dai nonni, dai padri e ora dall’ultima generazione di portuali che, dopo decenni, potrebbe vedere cancellato tutto. In 150, infatti, rischiano di perdere il posto di lavoro.

L’identità che rischia di scomparire

«Fa male sapere che si sta mettendo in discussione un legame con la città che dura da almeno 100 anni. La Compagnia è la storia del porto e farla scomparire vuol dire cancellare non solo il futuro di 150 famiglie ma soprattutto la presenza della città, il Centro storico, all’interno del porto», spiega Giuseppe Mautone, portuale specializzato ed erede di quella discendenza. «Sono stati i nostri nonni – continua il collega Giuseppe Cosciaa creare la Compagnia e a dare vita a un porto lì dove c’erano soltanto dei lidi. Tutto lo splendore e il lustro che il porto ha dato e che dà a Salerno nasce da loro e noi abbiamo portato avanti quel modo di lavorare, elevando sempre di più il livello di specializzazione e di professionalità».

La Compagnia in difficoltà

La crisi è determinata dal fatto che i terminal e le aziende del porto, piuttosto che ricorrere alla forza lavoro della cooperativa assumono in proprio oppure, cosa che accade molto più di frequente, si scambiano la mano d’opera. La cooperativa, invece, nasce proprio per colmare le lacune che i terminal avevano negli organici e a supportarli nei momenti cosiddetti di picco, quando, cioè, le navi da scaricare sono tante o sono particolarmente grandi. «Le aziende ci hanno trovati sempre presenti, capaci di mettere in campo le più svariate competenze, anche quelle più specializzate. Ma se continuano così non faranno altro che distruggere la cooperativa e 150 famiglie perché prima che operai, per la gran parte, siamo giovani genitori», continua Coscia. Tra l’altro, secondo i lavoratori, le assunzioni dei terminal sono destinate ad essere precarie. «Il nostro lavoro vive di fasi differenti legate, ad esempio alla geopolitica. Ora ci sono dei picchi ma, poi, ci sono dei momenti di stallo. E, a quel punto che fine faranno quei lavoratori se non essere considerati esuberi? Se, invece – riflette Mautone – le aziende credessero nella cooperativa, ci dessero fiducia, potremmo stabilizzare 30 interinali e creare nuovi percorsi di formazione. Le aziende sanno che nella Compagnia ci sono delle eccellenze».

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