Il bagliore e poi il fragore dei missili. La paura che non risparmia nemmeno chi è abituato a lavorare anche in territori dove la situazione è tesa e delicata. Rosario Sessa, salernitano, è un operatore tecnico subacqueo di infrastrutture marittime subacquee come gasdotti, oleodotti o cavi di fibra ottica. Lavora per diverse multinazionali a bordo di quelli che, tecnicamente, si chiamano diving vessel (vascello per subacquei, nave per sommozzatori) e che, in concreto, sono delle “città galleggianti” dove c’è tutto il necessario per affrontare lunghi mesi in mare. E Sessa era proprio sul mare, al confine con la Striscia di Gaza, quando è iniziato l’attacco di Hamas dello scorso ottobre che, poi, avrebbe portato alla furente reazione israeliana con l’esplosione della guerra che ancora insanguina quei territori e che, con le tensioni sul Mar Rosso, sta rischiando di dilagare.
Come mai era a Gaza?
Ci trovavamo nella zona per la realizzazione di un’infrastruttura per conto di una ditta italiana che aveva ottenuto una commessa importante nell’area al confine con la Striscia.
Avevate avuto sentore di una situazione che poteva diventare così drammatica?
Inizialmente non avevamo chiaro che cosa stesse accadendo. Con noi lavoravano degli ingegneri israeliani che ci affiancavano per la parte dell’infrastruttura che doveva essere realizzata a terra. Ci seguivano con una barca di una decina di metri, ci confrontavamo quotidianamente ma nessuno di loro aveva sentore di nulla. E, infatti, da Gaza è arrivata all’improvviso una pioggia di migliaia di missili. Sono stati loro, nei giorni successivi, che ci hanno mandato i video che giravano da terra con i palazzi bombardati che non erano stati intercettati dallo scudo iron dome. Uno di loro ha perso la madre.
Che cosa sentivate da bordo?
Non solo sentivamo, abbiamo proprio visto i missili che venivano sparati da Gaza verso il confine con Israele.