«Non ha mai mostrato segni di dissociazione dalla malavita organizzata». Sono riferite a Pasquale Renna, boss dell’omonimo clan camorristico, le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha firmato il decreto di rinnovo del regime carcerario del 41-bis ai danni del 62enne bellizzese, assistito dal penalista Giuseppe Russo, detenuto nel reparto speciale della casa circondariale di Novara. Un provvedimento che il guardasigilli ha adottato sulla scorta delle relazioni della Direzione nazionale Antimafia, dell’Arma e del ministero dell’Interno, incentrate principalmente sulle informative stilate dalla Dda, dai carabinieri della Compagnia di Battipaglia e dagli agenti della Squadra mobile della Questura di Salerno e del Commissariato di Battipaglia.
Il capo del clan egemone sulla Piana del Sele
Rimane isolato dal mondo uno dei capi dei Pecoraro-Renna, clan egemone sulla Piana del Sele: con un decreto lungo 12 pagine, Nordio dilata ancora gli effetti del provvedimento adottato due anni fa dal suo predecessore, Marta Cartabia. Attenendosi più o meno alle stesse motivazioni. Più o meno, perché gli elementi nuovi sono alcune condanne in via definitiva inflitte nel frattempo non al boss, ma ad alcuni «epigoni» del clan da lui capeggiato, alcune indagini che ne coinvolgono altri, la riapertura dell’inchiesta sulla lupara bianca del ’93 ad Olevano sul Tusciano (la vittima fu il pontecagnanese Sergio Giordano: in tal caso proprio Renna, fra gli altri, è destinatario d’una richiesta di rinvio a giudizio) ed un lieto evento familiare che, seppur risalente al 2018, non era stato menzionato nel vecchio provvedimento.
Il matrimonio e gli invitati appartenenti alla cosca
Si tratta del matrimonio d’una stretta congiunta del 62enne: in quell’occasione «è stata riscontrata – si legge nel provvedimento del ministro – la presenza tra gli invitati anche di familiari dei fratelli Sergio ed Enrico Bisogni, attuali reggenti delle organizzazioni criminali operanti sul territorio in continuazione con il clan Pecoraro- Renna». E l’azione degli epigoni, per il guardasigilli, denota «l’attuale e persistente operatività dell’organizzazione camorristica». E, anche se non figura in prima persona in alcuna di quelle indagini, il capo di quel clan, quindi, deve rimanere al carcere duro, ancor di più perché «non ha mai dimostrato alcun intento collaborativo».