LO STUDIO
Dieta Mediterranea addio! L’Italia preda dei disturbi alimentari
In vent’anni un aumento dei casi del 900%
L’alimentazione è alla base della salute. Un principio tanto semplice quanto difficile da trasferire, soprattutto perché mangiar bene significa dedicare tempo ed attenzione alla scelta dei cibi.
Cambiano gli stili di vita e la pausa pranzo è sempre più un mordi e fuggi. Ma quanto incide sul nostro benessere? Più di quanto si possa immaginare!
Tra il 2000 e il 2023 sono aumentati drasticamente i casi legati a una cattiva alimentazione nel nostro Paese: +900%. Soltanto il 30% della popolazione mangia in modo sano. A fotografarlo è la nuova infografica dell’Università degli studi Niccolò Cusano sulle abitudini e i disturbi alimentari degli italiani.
Traducendo le percentuali in numeri, sono interessate all’incirca 3 milioni di persone. Si tratta dei soggetti affetti da disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) nel 2023.
Se disturbi come l’anoressia e la bulimia erano in passato legati al sesso femminile, oggi non è più così: a soffrire di queste malattie disfunzionali della nutrizione sono soprattutto i maschi fino ai 14 anni, il cui tasso di ricovero - solo tra il 2014 e il 2018 - è aumentato del +110%.
Il comportamento a tavola, sottolinea la ricerca Unicusano, è peggiorato durante la pandemia e continua ancora oggi a destare preoccupazione.
Dall’anoressia al binge eating (ovvero abbuffate di cibo incontrollabili), passando per la bulimia nervosa e l’obesità grave. Ogni patologia riscontrata si porta dietro disagi psicologici e psichiatrici che si traducono in disturbi dell’umore, disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi della personalità, portando a popolare, in Italia, reparti di psichiatria, recupero e riabilitazione funzionale e medicina generale.
Ma non solo: secondo l’Unicusano, tra i primi cinque reparti che ospitano persone affette da DNA vi sono pediatria e neuropsichiatria infantile, segno della crescente tendenza dei giovanissimi a cadere nella trappola dei disturbi della nutrizione e del comportamento alimentare.
Disturbi che sembrano più presenti nel Centro-Nord Italia (65,7% dei casi), con in testa la Lombardia, la Toscana e il Piemonte. Secondo i dati, anche per ciò che riguarda la nutrizione, il fattore 0 sembra essere l'industrializzazione. Mentre i Paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica non sembrano essere toccati da questo fenomeno, infatti, l’Occidente si aggiudica il primato per casi ogni 100mila persone, a confermare come questi disturbi siano culture bound syndromes (determinati dalla cultura di ogni Paese).
Se i fattori di rischio sono quelli più conosciuti, come i fattori individuali (età, personalità, genere), famigliari (dipendenze o disturbi dell’umore in famiglia, vischiosità affettiva, abusi, eccessiva attenzione al giudizio altrui) e socio-culturali (l’immagine della donna forte e di successo come una donna magra e in forma), diete e decontestualizzazione del cibo (tendenza a vedere il cibo come pericoloso o velenoso perché non senza glutine, grassi, conservanti, coloranti…) aggiungono il carico da 90 a menti spesso più sensibili.
È solo il 30% delle persone, infatti, a seguire un’alimentazione veramente salutare. Spaventano invece il consumo spropositato di zuccheri semplici e grassi saturi (raddoppiati), di formaggi, latte e dolci e di carne, a discapito di cereali e carboidrati.
A entrare in gioco, poi, è anche il fattore ambientale: carne coltivata, farine da grilli o locuste, soluzioni plant-based e regenerative food. Tutte soluzioni al centro di accese discussioni, ma che potrebbero comportare una serie di vantaggi sia a livello nutritivo (e dunque salutare), sia a livello climatico-ambientale.