Con cristiana accettazione e dopo un momento di evidente avvilimento, il rettore, monsignor Claudio Raimondo, ha stigmatizzato il gesto e ha invitato i parrocchiani a interpretarlo come una prova da superare – perché la vita del buon cristiano è lastricata di ostacoli – ma che, in fondo, tutto si risolve. Eppure quell’atto che non è ben chiaro di che natura sia (se una semplice bravata, un gesto di blasfemia o la scomposta reazione di qualcuno alle attività parrocchiali), ha colpito e scosso profondamente tutta la comunità della chiesa di Sant’Anna al Porto. Il primo ritrovamento è avvenuto il 27 giugno: quando don Claudio è arrivato in chiesa per la messa delle 9 e ha trovato il portale principale imbrattato da feci e lettere indecifrabili – dello stesso materiale – a corredo.
Si è pensato subito a una bravata e, nonostante il disgusto, i parrocchiani hanno dato una mano a ripulire. Il giorno dopo, stesso copione con l’aggiunta della porta della sacrestia. Il 30 giugno, con un giorno di pausa che aveva illuso fedeli e rettore che tutto si fosse concluso, è stata aggiunta dell’urina alle feci che coprivano pure tutto il sagrato e le scale oltre il portale e l’ingresso della canonica. Addirittura, per pulire ci sono voluti attrezzi appositi perché non era possibile nemmeno infilare la chiave nella toppa del portale della chiesa del XIII secolo che ormai, fanno notare i fedeli, «è alla stregua dei vandali». Tra l’altro, nonostante per le operazioni di pulizia che necessitano di disinfettanti e solventi che rischiano anche di danneggiare il legno del portale, servano stomaci forti, ad affiancare don Claudio nelle operazioni c’erano anche le signore più anziane della parrocchia.
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