Se penso al lavoro mi vengono in mente tante cose: indipendenza, speranza, ma anche rassegnazione e sfruttamento. Perché, come diceva Massimo Troisi, la parola “lavoro” a Napoli doveva sempre essere affiancata a qualcos’altro. Un discorso che, se allargato a tutto il Paese, è ancora attuale. Stage, apprendistato, alternanza scuola-lavoro. Sia chiaro, qualcosa si muove. Basta vedere l’apparato degli enti pubblici svecchiato con gli ultimi concorsi, ma è troppo poco. Il privato è in affanno, come sempre. E se ci sono tanti imprenditori pronti a rischiare ancora, c’è anche chi è senza scrupoli. Perché se le tante misure per incentivare l’occupazione le conosciamo ormai a memoria, in pochi le attuano davvero o lo fanno a loro discrezione.
Da qui deve partire il concetto di sicurezza, che non deve essere solo inteso nel senso stretto del termine, ma anche nel rispetto di chi esce di casa e ritorna dopo aver lavorato per diritti di cui non godrà mai. La sicurezza dovrebbe essere la parola che ci viene in mente pensando al lavoro, ma è ancora troppo lontana. Il lavoro ti dà la sicurezza di diventare grande, di realizzarti, ma così non è ancora. Resta un campo minato per tutti, un ginepraio di regole per chi sogna la pensione e per chi cerca stabilità.
Dunque, più che in un giorno di festa, spero in un momento di celebrazione, oltre il solito concerto, con i sindacati che tornino ad essere più vicini ai protagonisti di oggi: i lavoratori. Perché lo siamo tutti, anche chi un lavoro non ce l’ha, ma lo aspetta, lo spera, lo sogna.
Buon Primo Maggio.