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Caso Alfieri, la Dda voleva il carcere. Il “no” del giudice

di Alessandro Mosca
Ecco i retroscena dell'inchiesta che vede protagonista l'ex presidente della Provincia e già sindaco di Capaccio Paestum
Caso Alfieri, la Dda voleva il carcere. Il “no” del giudice

Le dimissioni da presidente della Provincia e da sindaco di Capaccio Paestum rassegnate a fine febbraio hanno “salvato” Franco Alfieri dall’arresto-bis in carcere. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Salerno, Annamaria Ferraiolo, dopo l’inchiesta della Dda (condotta della sezione operativa salernitana della Dia, diretta dal tenente colonnello Fabio Gargiulo) che giovedì ha fatto scattare dieci misure cautelari (sei in carcere e quattro ai domiciliari) in seguito alle indagini sulle elezioni amministrative a Capaccio Paestum del 2019 vinte da Alfieri e sulle evoluzioni del rapporto con Roberto Squecco, imprenditore capaccese delle onoranze funebri già condannato per i suoi legami con il clan Marandino (lunedì ci sarà il suo interrogatorio e quello di altri sette destinatari di misura cautelare mentre martedì compariranno dal giudice Alfieri e l’ex moglie di Squecco, Stefania Nobili).

Un rapporto che, secondo gli inquirenti, è collimato in un patto per le elezioni: Squecco avrebbe garantito voti ad Alfieri e, in cambio, il primo cittadino si sarebbe dovuto interessare alle sorti del lido Kennedy, riconducibile a Squecco. Proprio questa “attenzione”, secondo quanto contestato dall’imprenditore, non ci sarebbe stata, portandolo così a ideare una “vendetta” nei confronti del politico, arrivando persino ad organizzare un attentato dinamitardo ai suoi danni.

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