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Quel fango ancora tra noi dopo ventisette lunghi anni

di Domenico Gramazio
Mancano 137 vite umane solo nella città dei Sarrastri
Quel fango ancora tra noi dopo ventisette lunghi anni

A 27 anni dalla frana di Sarno, cosa è cambiato realmente? Effettivamente è difficile dirlo. Quello che si avverte con certezza è la mancanza. Mancano 137 vite umane solo nella città dei Sarrastri, per arrivare a un totale di 162 vittime se includiamo le perdite tra Quindici, Bracigliano, Siano e San Felice a Cancello. Il resto è burocrazia pura, con un pizzico di cattiva gestione da parte di chi ci amministra. Da parte di uno Stato che non riesce a mettere la parola fine a uno strazio che fa male al cuore non solo ogni 5 maggio, ma ogni volta che incombe il maltempo in queste zone. Perché basta un po’ di pioggia per far tornare alla memoria quei giorni.

E di fango, in 27 anni, ne è sceso parecchio, portando con sé i soliti disagi per chi vive in questa parte della Campania. Perché, sia chiaro, non è solo lo Stato a venire meno – con un contenzioso giudiziario ormai atavico in Cassazione contro il Comune di Sarno – ma è tutto il sistema delle istituzioni ad avere una falla nella gestione di questa emergenza dalle pagine un po’ ingiallite, ma sempre molto attuale.
Ogni volta che ci si trova di fronte a vasche anti-alluvione, costruite per evitare tragedie come quella del 1998 e ormai trasformate in ricettacoli di rifiuti o giungle urbane per mancata manutenzione, la rabbia inevitabilmente sale.

Poi, il 5 maggio di ogni anno ci si affretta a mantenere viva la memoria di chi non c’è più nei modi più disparati. Ma forse sarebbe meglio onorarla attivandosi in maniera preventiva, per evitare di dover denunciare sempre lo stesso malcostume: intervenire solo quando è strettamente necessario o all’ennesima ondata di maltempo dove si rimette in moto la macchina dell’emergenza con il cuore infinito dei tanti volontari. E poco importa di chi sia la colpa: Comune di Sarno, Regione Campania, Stato italiano. Quello che resta è la fotografia impietosa di ciò che scatena le solite – e sacrosante – proteste.

Certo, dei passi in avanti sono stati fatti, come affermano da tempo i maggiori esperti del nostro Paese. La tragedia di Sarno, purtroppo, ha fatto scuola nella gestione delle frane. Le opere sono state realizzate e restano un punto di riferimento per gli addetti ai lavori. Ma questo non basta. Alla gente serve il quotidiano. Che, tradotto in parole povere, significa sentirsi sicuri nella propria casa, anche quando piove. Qualcuno dirà che è il solito populismo, ma non lo è. Magari, è la base per poter dire di vivere in un Paese civile.

Perché poi, a tutto questo, si aggiunge anche lo strazio delle carte bollate per i risarcimenti di chi, oltre a un tetto, ha perso affetti importanti. Servirebbe rispetto. Per tutto questo. Non solamente il 5 maggio di ogni anno.

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